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FOCUS
Un oceano di plastica
 

Nuovi studi per ridurre i rifiuti in mare

 
 
 

Un recente studio condotto presso l’università di Cadice in Spagna ha messo in evidenza, per la prima volta in maniera scientifica, che la più grande ...

 
 

 

martedì 15 giugno 2021

 

 

Un recente studio condotto presso l’università di Cadice in Spagna ha messo in evidenza, per la prima volta in maniera scientifica, che la più grande causa di inquinamento degli oceani sono i prodotti in plastica collegati al cibo da asporto e alle bevande. Gli studi condotti hanno raccolto ben dodici milioni di dati utilizzando 36 database sparsi in giro per il mondo.

In particolare, quattro prodotti rappresentano quasi la metà dei rifiuti prodotti dall’uomo e sono: i sacchetti monouso, le bottiglie di plastica, i contenitori alimentari e gli involucri per alimenti. 

Mentre solo dieci sono gli oggetti, tra cui i coperchi in plastica e le attrezzature da pesca, che costituiscono, da soli, i tre quarti dei rifiuti umani, considerando anche la loro diffusione a livello globale e i tempi estremamente lunghi di decomposizione che li caratterizzano.

Questa ricerca rappresenta un punto importante, affermano i ricercatori, poiché l’aver individuato in maniera chiara e scientifica la fonte esatta alla base del problema dell’inquinamento mondiale da plastica consente, senza se e senza ma, di poter intervenire all’origine del problema ambientale. Per questa ragione, gli stessi ricercatori hanno richiesto, proprio sulla base di questi dati, l’abolizione dei suddetti oggetti, per lo più monouso, e un’assunzione di responsabilità maggiore da parte dei produttori. 

La recente decisione in ambito europeo di bloccare la produzione di cannucce di plastica e cotton fioc è stata rilevante, ma ciò non deve distogliere l’attenzione da problemi maggiori, affermano. “Non siamo rimasti sorpresi dal fatto che la plastica costituisse l’80% dei rifiuti, ma ci ha sorpreso l’elevata percentuale di articoli da asporto, che non sono solo i rifiuti di McDonald’s, ma anche bottiglie d’acqua, bottiglie per bevande di vario tipo come la Coca-Cola, includendo anche le lattine”, ha affermato Carmen Morales-Caselles, dell’Università di Cadice, in Spagna, che ha guidato la ricerca.

“Queste informazioni aiuteranno le classi politiche ad agire. Potendo ora agire con efficacia e chiudere i rubinetti dei rifiuti che si riversano in mare piuttosto che limitarsi a ripulire le acque a fatti già avvenuti” ha dichiarato.

Cannucce e bastoncini, che siamo soliti usare, ad esempio, per miscelare lo zucchero, costituiscono il 2,3% dei rifiuti in plastica mentre i cotton fioc e i bastoncini dei lecca lecca rappresentano lo 0,16%. “È positivo che ci sia un’azione contro i cotton fioc ma se non affrontiamo il problema dei rifiuti più impattanti, allora non si arriva al nocciolo del problema: non stiamo c’entrando l’obiettivo”, ha detto Morales-Caselles.

Il professor Richard Thompson, dell’Università di Plymouth nel Regno Unito, non era del gruppo di ricerca ma lui stesso conferma: “Avere questi dati raccolti in modo scientifico e analitico è incredibilmente utile. C’è spesso una certa riluttanza ad agire su certi argomenti, anche se ovvi, se non stati dimostrati da studi scientifici e pubblicazioni ufficiali”.

La ricerca, pubblicata sulla rivista Nature Sustainability e finanziata dalla Fondazione BBVA e dal Ministero della Scienza spagnolo, conclude affermando: “Relativamente all’origine prima dei rifiuti in plastica, si dimostra che tutto ciò che è relativo al consumo del cibo da asporto, ne è la causa maggiore e quindi in particolare, i sacchetti e gli involucri di plastica, i contenitori per alimenti e le posate, le bottiglie di plastica, quelle di vetro e le lattine.

Oggetto d’analisi sono stati tutti gli oggetti in plastica più grandi di 3 cm e facilmente riconoscibili, escludendo frammenti e microplastiche. E’ stata inoltre fatta una distinzione tra articoli di plastica da asporto, contenitori per articoli da toeletta e prodotti per la casa.

La più alta concentrazione di oggetti in plastica è stata registrata lungo le coste e sui fondali marini presso le coste. I ricercatori affermano che il vento e le onde, spazzando ripetutamente i rifiuti verso le coste, provocano un accumulo dei rifiuti sul basso fondale marino. Al contrario, per quanto riguarda gli attrezzi necessari per la pesca, come corde e reti sintetiche, la concentrazione maggiore si riscontra in mare aperto e rappresenta circa la metà di rifiuti totali presenti in mare.

In un secondo studio, all’interno della stessa pubblicazione, sono stati, invece, analizzati i rifiuti che giungono in mare e che provengono dalle acque di 42 tra i fiumi che scorrono in Europa. I dati hanno dimostrato che ai primi tre posti come stati “inquinanti”, in termini di rifiuti galleggianti, si collocano tristemente Turchia, Italia e Regno Unito.

“Le misure di controllo dei rifiuti in mare non possono rivolgersi esclusivamente a ripulire la foce dei fiumi”, ha affermato Daniel González-Fernández dell’Università di Cadice, ricercatore che ha guidato il secondo studio. “Bisogna fermare i rifiuti alla fonte così che la plastica non entri mai nell’ambiente, è questo il passo che fa la differenza.”

A Maggio di quest’anno, Greenpeace ha denunciato il fatto che i rifiuti di origine plastica prodotti nel Regno Unito, che venivano inviati in Turchia per il riciclaggio, venivano in realtà bruciati o riversati in mare. Altre ricerche recenti, invece, hanno provato che la produzione di rifiuti pro capite dei cittadini statunitensi e britannici è maggiore rispetto a ogni altro paese.

I ricercatori, forti delle evidenze raccolte, sostengono con fermezza la necessità di abolire i prodotti in plastica soprattutto mono uso come unica soluzione al problema dei rifiuti. Mentre, per quei prodotti essenziali cui sarebbe impossibile fare a meno, richiedono una maggiore assunzione di responsabilità da parte dei produttori per quanto concerne la raccolta, lo smaltimento sicuro dei prodotti e l’attuazione di programmi per la restituzione del “vuoto”. 

 “Questo studio completo dimostra che la politica migliore di riduzione dei rifiuti da plastica che i governi possano adottare è quello di limitare severamente l’utilizzo degli imballaggi in plastica mono uso”, afferma Nina Schrank, nota attivista che si batte contro l’inquinamento da plastica presso Greenpeace UK. “E’ oramai innegabile. Non saremo mai in grado di riciclare tutti prodotti in plastica che produciamo oggi”.

La questione è ben riassunta dalle parole di Thompson: “ Quello che sta succedendo in mare è solo un sintomo del problema: l’origine del problema e la sua stessa soluzione hanno luogo sulla terra ed è lì che dobbiamo agire”.

Solo dieci sono gli oggetti, tra cui i coperchi in plastica e le attrezzature da pesca, che costituiscono, da soli, i tre quarti dei rifiuti umani, considerando anche la loro diffusione a livello globale e i tempi estremamente lunghi di decomposizione che li caratterizzano.