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FOCUS
Paesi vulnerabili, serve un patto sul clima
 

Le responsabilità e i doveri degli Stati più ricchi

 
 
 

In una atmosfera di sfiducia crescente, gli Stati maggiormente colpiti dal cambiamento climatico hanno recentemente evidenziato le loro difficoltà, nell’ambito della COP26 di Glasgow. I ...

 
 

 

mercoledì 22 dicembre 2021

 

 

In una atmosfera di sfiducia crescente, gli Stati maggiormente colpiti dal cambiamento climatico hanno recentemente evidenziato le loro difficoltà, nell’ambito della COP26 di Glasgow.

I rappresentanti del Climate Vulnerable Forum (CVF), il club che raccoglie questi paesi, hanno reclamato, mediante la Dichiarazione di Dacca, dal nome della capitale del Bangladesh, che presiede il gruppo quest’anno, l’adozione di un “patto climatico di urgenza”.

I paesi ricchi, maggiori responsabili del dissesto ambientale, hanno rispettato solo parzialmente l’impegno preso nel 2009 di versare cento miliardi di dollari (ottantasei miliardi di euro) entro il 2020, per aiutare i paesi vulnerabili ad adattarsi all’aumento delle temperature e a ridurre le loro emissioni.

“Noi vogliamo un piano annuale per lo stanziamento dei cento milioni di dollari promessi, che la metà di questa somma vada all’adattamento dei nostri paesi al cambiamento climatico, e che i paesi più inquinanti si impegnino formalmente a ridurre il loro livello di emissioni anno per anno. Infine, vogliamo che sia il Fondo Monetario Internazionale (FMI) che si faccia carico di verificare il realizzarsi di questi obblighi”, afferma Abul Momen, Ministro degli Affari Esteri del Bangladesh.

Formatosi nel 2009 sotto l’impulso delle Maldive, costituito da una cinquantina di paesi che rappresentano due miliardi di persone, il CVF “non è responsabile che del 5% delle emissioni totali, ma la popolazione che rappresenta ne è la principale vittima”, secondo Momen, che chiede “maggiore attenzione politica alle nostre realtà, alle nostre terre che si salinizzano, alle nostre popolazioni che finiscono in miseria perdendo il loro stile di vita pregresso”.

Mohammed Nasheed, ex Presidente delle Maldive, sostiene che “i cento miliardi di dollari del fondo sul clima non sono sufficienti, si pensi infatti che il Primo Ministro indiano Narendra Modi ha detto che il suo paese avrebbe bisogno di mille miliardi di dollari per la sua transizione. I paesi ricchi non riescono ad ammettere facilmente le loro responsabilità presenti e passate”.

Kausea Natano, Primo Ministro di Tuvalu, arcipelago del Pacifico, e Gaston Browne, Primo Ministro di Antigua e Barbuda e Presidente dell’alleanza dei Piccoli Stati insulari, hanno lanciato a Glasgow una iniziativa molto ambiziosa, la “Commissione delle piccole isole sul cambiamento climatico e il diritto internazionale”.

I due politici affermano che “dopo tanti anni, constatiamo che gli impegni presi volontariamente dagli Stati più inquinanti non sono sufficienti a limitare i danni del riscaldamento climatico subiti da paesi come i nostri. L’obiettivo è adire le vie legali per ottenere giustizia. Le nostre spiagge hanno subito molti danni, con gravi conseguenze sul turismo e sull’economia. Non vogliamo avere un atteggiamento ostile, ma crediamo che la strada del diritto internazionale possa essere la più efficace per raggiungere i nostri legittimi scopi”.

Se gli Stati Uniti e gli altri Stati occidentali rifiuteranno di riconoscere le implicazioni giuridiche delle loro responsabilità sui cambiamenti climatici, solo il diritto potrà fare chiarezza e venire incontro a quella parte di mondo che cerca solo di garantirsi un futuro dignitoso, stanca di pagare a caro prezzo errori non suoi.

I paesi ricchi, maggiori responsabili del dissesto ambientale, hanno rispettato solo parzialmente l’impegno preso nel 2009 di versare cento miliardi di dollari (ottantasei miliardi di euro) entro il 2020, per aiutare i paesi vulnerabili ad adattarsi all’aumento delle temperature e a ridurre le loro emissioni.