Used,Medical,Face,Mask,Left,On,The,Beach,During,The pandemic
 

< back

FOCUS
La pandemia non doveva renderci migliori?
 

L’impatto ambientale dei rifiuti da Covid-19

 
 
 

La prossima emergenza ambientale sarà liberarsi di tonnellate di dispositivi di protezione individuali divenuti obbligatori con la pandemia di Covid-19. E’ stato recentemente pubblicato, sulla rivista ...

 
 

 

mercoledì 14 aprile 2021

 

 

La prossima emergenza ambientale sarà liberarsi di tonnellate di dispositivi di protezione individuali divenuti obbligatori con la pandemia di Covid-19. E’ stato recentemente pubblicato, sulla rivista Animal Biology, uno studio condotto dai biologi del Naturalis Biodiversity Center e dell’Università di Leiden, in cui sono monitorati la frequenza e la posizione in cui si verificano le interazioni tra animali e rifiuti da Covid-19, ossia i rifiuti derivanti dai Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) come guanti e mascherine. Lo studio è stato condotto sia tramite osservazione sul campo che tramite la raccolta di dati, immagini e articoli, dal web.

La ricerca mostra come inizialmente i rifiuti, specialmente le mascherine, venivano trovati nelle aree esterne ai supermercati e alle farmacie oppure vicino alle fermate e alle stazioni dei mezzi pubblici, ma col passare del tempo, sono arrivati nei mari e nei fiumi, nel terreno, nei nidi e nelle pance degli animali, vertebrati e invertebrati. Il rischio per tutte le specie viventi è connesso, come per i rifiuti plastici in generale, soprattutto a intrappolamento, ingestione e soffocamento.

Il primo caso registrato è stato il ritrovamento di un pesce morto all’interno di un guanto in lattice, a Leiden, in Olanda. Predditivo, in tal senso, il cartone realizzato dalla cartoonist iraniana Alireza Pakdel che agli albori della pandemia aveva disegnato uan storia in cui un pesce intrappolato in una mascherina incontrava un pesce incastrato in un guanto.

I dati raccolti provengono da ogni parte del mondo e sono pubblicati sul sito covidlitter.com. Si possono vedere immagini dall’Italia, dal Canada, dall’America e dall’Europa. Lo scenario è lo stesso. I ricercatori, in tal senso, ci ricordano l’importanza di tagliare i cordini delle mascherine e i guanti: un piccolo gesto dal valore altamente salvifico.

Tantissimi i casi riportati di intrappolamento per germani reali, cigni, falchi peregrini, pettirossi americani e gabbiani, impigliati nelle mascherine, con le zampette gonfie e usurate dai cordini, con i becchi chiusi in modo da non riuscire a nutrirsi.

Non solo uccelli purtroppo, la stessa sorte è toccata anche a ricci, granchi, polipi ma non solo. In Brasile nello stomaco di un pinguino è stata ritrovata una mascherina, in Malesia, vari macachi dalla coda lunga sono stati visti masticare mascherine, in Inghilterra, incredibili le lotte tra gabbiani per contendersi mascherine, erroneamente scambiate per cibo nei becchi. Purtroppo non sono mancati anche casi di ingestione tra animali domestici, mentre la BBC avrebbe riportato di un caso di ingestione di pezzi di mascherina erroneamente trovati all’interno dei chicken nuggest di MacDonald.

I dati parlano chiaro, a sole due settimane dal primo caso tedesco di Covid, furono trovate almeno 100 mascherine a settimana nelle acque dei canali tedeschi. Canali che ospitano ben 22 specie di pesci protette da leggi nazionali e europee e determinanti per l’ecosistema fluviale.

Mascherine sono state trovate all’interno dei nidi degli uccelli, utilizzate come materiale di costruzione. Come per la Folaga comune ( Fulica atra), specie famosa per i suoi nidi antropogenici, o come nel caso dei Passeri, nei cui nidi sono stati ritrovati mascherine e salviette deumidificate.

Si consideri che in Cina, già a inizio pandemia, in un solo mese si è registrato un aumento di produzione di mascherine del 450%. A livello globale si stima un consumo mensile di 129 miliardi di mascherine e 65 miliardi di guanti, per non considerare le bottigliette di disinfettanti per mani.

I dati dello studio riportano che soltanto tre mesi dopo l’obbligo di mascherina imposto in Inghilterra, la Great British Beach Clean ha trovato rifiuti di DPI sul 30% delle spiagge monitorate e nel 69% dei rifiuti delle zone interne. Sull’isola disabitata di Soko, in Hong Kong, sono state ritrovate 70 mascherine in soli 100 metri di spiaggia.

Anche l’opinione pubblica esprime la sua preoccupazione. I dati raccolti segnalano che Google in Aprile 2020 registra l’aumento delle ricerche web associate alle parole  “mascherine e rifiuti”. Sui social viene indetta una #glovechallenge mondiale su cui vengono postate più di 11mila fotografie di rifiuti da Covid-19 mentre un progetto simile in Germania raccoglie 6347 fotografie di rifiuti di guanti e mascherine, nei soli mesi di Maggio e Giugno 2020.

Anche il WWF ha lanciato un appello, sottolineando che se anche solo l’1% delle mascherine venisse smaltito non correttamente e magari disperso in natura, questo si tradurrebbe in ben 10 milioni di mascherine al mese disperse nell’ambiente. Considerando che il peso di ogni mascherina è di circa 4 grammi, questo comporterebbe la dispersione di oltre 40mila chilogrammi di plastica in natura: uno scenario pericoloso che va disinnescato, dicono.

Perchè infatti le mascherine sono oggetti mono-uso che impiegheranno fino a 150 anni per decomporsi, come segnalato dal Dipartimento per l’ambiente marino del Servizio sanitario pubblico federale belga.

Studiosi della University of Southern Denmark spiegano che le mascherine usa e getta sono prodotti in plastica che non possono essere rapidamente biodegradati ma invece tendono a frammentarsi in particelle di plastica più piccole, ovvero micro e nanoplastiche che si diffondono negli ecosistemi. Inoltre essendo realizzate con fibre di plastica microsize (spessore da 1 a 10 micrometri) quando si diffondono nell’ambiente, possono rilasciare più microplastiche, in maniera più facile e veloce delle plastiche sfuse come i sacchetti di plastica, un impatto che può essere aggravato da quelle di nuova generazione, le cosiddette nanomascherine.

A ciò si aggiunge il fatto che mentre per la plastica normale esiste una raccolta differenziata, per cui per il 25% viene riciclata, le mascherine vanno nell’indifferenziata e sono trattate come rifiuti solidi.

Se fino a oggi per difenderci dal virus abbiamo affidato la nostra salute a materiali plastici monouso, non solo guanti e mascherine ma anche visiere, camici in TNT, divisori in plexiglas, imballaggi e stoviglie, è tempo di cambiare passo. Per questo ad esempio si sta pensando a sistemi di conferimento specifici e standardizzati per le mascherine e di realizzarne di biodegradabili.

I ricercatori ci ricordano l’importanza di tagliare i cordini delle mascherine e i guanti: un piccolo gesto dal valore altamente salvifico.