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FOCUS
La guerra in Ucraina accentua la crisi energetica globale
 

Il gas russo copre il 60% del fabbisogno italiano

 
 
 

È del cinquecento per cento l’incremento del costo del gas, registrato nel nostro Paese in appena un anno, ma è anche del 45% la quota ...

 
 

 

mercoledì 9 marzo 2022

 

 

È del cinquecento per cento l’incremento del costo del gas, registrato nel nostro Paese in appena un anno, ma è anche del 45% la quota parte di esso che arriva direttamente dalla Russia e necessario a produrre il 60% del nostro fabbisogno energetico. La quantità di importazione russa è quasi raddoppiata rispetto a solo un decennio fa, delineando i contorni di uno scenario preoccupante.

Le ostilità in Ucraina e le sanzioni previste a carico della Russia, causa lo scontato “effetto di rimbalzo” sulle economie occidentali, potrebbero accentuare la crisi energetica globale e il fabbisogno di molti Paesi europei, fra cui l’Italia. Il costo del gas, quello del petrolio, con il prezzo della benzina che, secondo Quotidiano Energia si attesta in modalità “servito” a 2,039 e in quella “self” a 1,912 euro al litro, rappresentano i primi effetti della crisi.

Se a questo si aggiungono i problemi legati al “caro bollette”, le preoccupazioni di questi giorni potrebbero essere solo l’antipasto di quello che ci aspetta. Secondo Confindustria, se i rifornimenti di gas dalla Russia dovessero cessare, la bolletta elettrica degli italiani potrebbe aumentare del 150%.

Il presidente del Consiglio Mario Draghi, durante una recente informativa alla Camera sulla difficile situazione internazionale, ha dedicato ampio spazio alla questione energetica. Nella consapevolezza che le riserve per ora siano sufficienti ma anche nella certezza che occorra trovare una soluzione in vista del prossimo inverno. Il Premier, in quest’ottica, ha paventato alcune possibili alternative per sopperire a eventuali carenze nell’immediato e per calmierare i prezzi dell’energia, del gas in particolare, in un’ottica di medio – lungo periodo.

Draghi e il Ministro per la Transizione, Roberto Cingolani, hanno ipotizzato fra le strategie previste, dal Decreto Ucraina, la riapertura di alcune centrali a carbone che erano state dismesse o erano in via di conversione. Operazione che era già stata fatta alcuni mesi fa (per pochi giorni) alle centrali di La Spezia e Monfalcone, in una cornice geopolitica molto diversa dall’attuale.   

 

Tra le maggiori preoccupazioni del Governo c’è quindi l’approvvigionamento energetico del sistema Paese, che ha già colpito l’economia italiana nei mesi dell’escalation militare ma che promette ora di dispiegarsi su vari assett strategici per la nostra economia, e per quella di tutta Europa. Per limitare i possibili danni, anche i Paesi dell’Unione Europea cercano di trovare una soluzione diplomatica alla crisi bellica e una bilanciata a quella energetica.

Lo scenario, a detta degli ambientalisti di mezzo mondo, rischia ora di avere delle ricadute negative anche sul percorso della transizione energetica globale che, nel periodo post – pandemico, doveva trovare definitivo slancio. L’opzione carbone sarebbe un problematico passo indietro sul fronte ambientale, a fronte degli impegni presi durante gli ultimi consessi internazionali sul clima.

La possibilità è stata citata solo per un momento, ma è bastata per dividere la platea di politici, ambientalisti e soprattutto dell’opinione pubblica.

Sul tavolo delle trattative però vengono presi in considerazione anche altri scenari, sulla carta meno impattanti sulla sostenibilità ambientale, che potrebbero affrancarci dalla dipendenza energetica dai gasdotti russi. La prima di queste riguarda il gas naturale liquefatto, che può essere trasportato via nave, e che Joe Biden, Presidente degli Stati Uniti, ha già proposto agli alleati, e all’Italia, come alternativa rispetto al gas di Mosca.

La prospettiva sconta, almeno per il nostro Paese, la carenza di rigassificatori in funzione necessari a riconvertire il gas liquido per renderlo utilizzabile a fini energetici. Fino a che non ne verranno costruiti abbastanza, il Governo ha vagliato anche la possibilità di puntare e usufruire di altri gasdotti fra cui il Tap dall’Azerbaijan, il GreenStream dalla Libia e il TransMed dall’Algeria. Pur riconoscendo l’importanza delle rinnovabili, Draghi ha ribadito che il gas resta essenziale come combustibile di transizione. Oltre a rafforzare il corridoio sud e a migliorare la capacità di rigassificazione, il Premier ha invocato l’aumento della produzione nazionale nella convinzione che il gas prodotto nel proprio Paese sia più gestibile e meno costoso.

La situazione è in divenire e solo la pace e la cooperazione tra i popoli può portare benefici all’efficacia e ai costi del sistema energetico internazionale.

Draghi e il Ministro per la Transizione, Roberto Cingolani, hanno ipotizzato la riapertura di alcune centrali a carbone