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FOCUS
La Fashion Industry e il suo impegno ecologico di facciata
 

Valutazioni non oggettive sull'impatto ambientale del comparto

 
 
 

La Fashion Industry è responsabile del 10% delle emissioni mondiali di carbonio ed è la seconda industria più inquinante al mondo. Tuttavia, cerca in ogni modo ...

 
 

 

mercoledì 20 aprile 2022

 

 

La Fashion Industry è responsabile del 10% delle emissioni mondiali di carbonio ed è la seconda industria più inquinante al mondo. Tuttavia, cerca in ogni modo di presentarsi come attenta alle questioni climatiche, agli occhi di una società, oggi, molto sensibile all’argomento.  

In effetti, i grandi marchi hanno dimostrato negli ultimi anni una crescente attenzione alle questioni ambientali tanto da aderire al Carbon Disclosure Project (CDP), progetto guidato da un organismo indipendente che assegna dei voti alle aziende in base alle prestazioni ambientali.

E’ però emerso, da una recente inchiesta condotta dal Guardian, che il reale impatto ambientale dei marchi sia in realtà mistificato da un sistema di valutazione che non si basa su valori assoluti ma su dati relativi. Infatti, le emissioni prodotte vengono valutate in relazione ai ricavi annuali.

Ciò significa che fintanto che le emissioni crescono meno delle entrate annuali, le emissioni totali vengono valutate in diminuzione.

In questo modo, marchi come H&M e Nike possono rivendicare una diminuzione complessiva delle emissioni annuali di anidride carbonica – e ricevere punteggi positivi dal CDP – nonostante le loro emissioni effettive aumentino.

Nel rapporto Nike 2020 sui cambiamenti climatici, si legge che “le emissioni sono aumentate dell’1% annuo, la crescita dei ricavi è stata del 7%, per cui si stima un calo di oltre il 5% delle emissioni per fatturato nell'[anno finanziario 2019] ”.

Nonostante l’aumento delle emissioni, quindi, il CDP ha valutato positivamente Nike.

H&M ha addirittura dichiarato gli aumenti delle “emissioni globali lorde” nel 2017 e nel 2018, ma, poiché tali emissioni sono aumentate meno dei ricavi, anche questo marchio è stato valutato positivamento dal CDP.

Il collegamento tra emissioni e ricavi è solo uno degli strumenti forniti dal Greenhouse Gas Protocol, per definire il criterio per la rendicontazione delle emissioni. 

Un altro strumento è la suddivisione delle emissioni in Scope 1, 2 e 3 a secondo di come vengono provocate le emissioni. Anche qui, si annida la possibilità di mistificare i dati.

Le emissioni “Scope 1” sono quelle che provocate dall’azienda nel bruciare i combustibili fossili per la produzione. Le emissioni “Scope 2” sono le emissioni legate al servizio offerto al pubblico. Le emissioni “Scope 3” sono le emissioni indirette che si verificano lungo la catena di creazione del valore. 

Il rapporto di CDP considera soltanto le emissioni prodotte dalle aziende relativamente alle “emissioni globali lorde combinate Scope 1 e 2” e sempre rispetto ai ricavi.

Le emissioni “Scope 1” di Nike – le tonnellate di CO2 prodotte dalla combustione di combustibili fossili – sono aumentate ogni anno dal 2016. Sono incluse le emissioni provocate dai negozi, dalla distribuzione, gli uffici e altro ancora. L’azienda, leader nell’abbigliamento sportivo, ha dichiarato di aver emesso 17.975 tonnellate di CO2 nel 2015, salendo a 47.398 nel 2021, con un aumento del 163%

Le emissioni di H&M sono aumentate da 10.723 nel 2015 a 11.973 nel 2021, in calo rispetto al picco di 13.380 nel 2020.

Fondamentalmente, escludendo le emissioni “Scope 3” non si considerano le emissioni prodotte lungo la catena di approvvigionamento. 

Sebbene Nike tenga traccia di queste emissioni, non fornisce un totale lordo. I viaggi d’affari, ad esempio, fanno parte del “Scope 3” per cui l’impatto dei voli dei dipendenti non è incluso nelle “emissioni globali lorde”.

H&M ha dichiarato di prestare attenzione alla Co2 prodotta da “Scope 3”. La società spiega: “Le emissioni di Scope 1 e 2 rappresentano meno dell’1% delle nostre emissioni.  Per raggiungere il nostro obiettivo di tagliare le emissioni del 56%, dobbiamo ridurre le emissioni “Scope 3”. Crediamo nell’opportunità di crescere ma restando in sintonia con il Pianeta”. La società ha realizzato un profitto di 1,36 miliardi di euro (1,14 miliardi di sterline) nel 2021.

Gli esperti sono costernati per l’autoproclamato progresso del settore e avvertono che concentrarsi sull’aumento dell’efficienza anziché sulla riduzione delle emissioni assolute, noto come disaccoppiamento relativo, mette a rischio il pianeta.

“Celebrare il successo di questo sistema di valutazione è una ricetta per il disastro”, ha affermato James Dyke, professore associato di scienze del sistema terrestre presso l’Università di Exeter. “Il riscaldamento globale si fermerà solo quando smetteremo di pompare gas serra nell’atmosfera.”

E’ emerso che il reale impatto ambientale dei marchi sia in realtà mistificato da un sistema di valutazione che non si basa su valori assoluti ma su dati relativi.