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Fast fashion, quando la moda diventa tossica
 

Report di Greenpeace evidenzia le responsabilità della Cina

 
 
 

Il fenomeno del fast fashion porta con sé gravi conseguenze per l’ambiente e per le persone. Infatti, questo modello produttivo si caratterizza per una confezione ...

 
 

 

mercoledì 14 dicembre 2022

 

 

Il fenomeno del fast fashion porta con sé gravi conseguenze per l’ambiente e per le persone. Infatti, questo modello produttivo si caratterizza per una confezione massiva di indumenti, per la velocità con cui vengono realizzati e messi in vendita, e per un tempo di utilizzo minimo. L’industria della “moda veloce” ha trasformato il proprio modello produttivo in ultra fast fashion, in cui i produttori sono costretti realizzare, in tempi ancora più rapidi del tradizionale fast fashion, e inviare gli indumenti verso tutto il mondo, attraverso il trasporto aereo. Un sistema che trova le basi operative nei paesi più poveri e reso possibile dallo sfruttamento delle persone, prive di tutele normative e sanitarie. Per capire meglio questo nuovo fenomeno, Greenpeace Germania ha esaminato il colosso della “moda ultra veloce ”cinese e ha stilato il rapporto “L’ultra fast fashion di SHEIN: un modello di business insostenibile basato su sostanze chimiche pericolose e devastazione ambientale”. L’indagine si è basata sull’analisi di 47 prodotti acquistati in Italia, Austria, Germania, Spagna e Svizzera. In primis, occorre considerare quanta correlazione esiste tra moda e Co2, si calcola che il 10% delle emissioni globali di gas serra siano emesse dal comparto dell’abbigliamento, il quale è responsabile anche dell’inquinamento delle acque di tutto il mondo. Anche se le conseguenze maggiori vengono pagate dal sud del mondo, infatti l’80% della produzione proviene da questi Paesi.

 Greeenpeace per arginare questo problema, già dal 2011, ha avviato una campagna “detox”, che ha portato le principali aziende del settore a bonificare le filiere produttive e eliminare le sostanze chimiche pericolose. Mentre il colosso cinese sembra lontano dall’adottare politiche ambientali, il proprio business va a gonfie vele grazie anche a una strategia di marketing che coinvolge tantissimi giovani, tra cui influencer, che in cambio di prodotti gratuiti oppure servizi fotografici, sponsorizzano prodotti realizzati all’interno di sartorie cinesi 7 giorni su 7, con una materia prima che, nella fase di lavorazione precedente, ha causato un importante inquinamento delle acque.

Dal rapporto “L’ultra fast fashion di SHEIN: un modello di business insostenibile basato su sostanze chimiche pericolose e devastazione ambientale” è emersa la presenza di numerose sostanze chimiche come composti organici volatili, alchilfenoli etossilati, formaldeide, ftalati, PFAS, metalli pesanti etc. Questi dati hanno confermato il disinteresse del colosso cinese nei confronti dei rischi ambientali e per la salute umana, e in alcuni casi si può parlare di infrazione delle normative ambientali vigenti in Europa riguardo la sicurezza chimica.

In particolare:

  • Sul campione di 47 indumenti ben 45 contenevano una sostanza chimica pericolosa
  • Circa il 15% dei capi contenevano sostanze chimiche pericolose in concentrazioni superiori ai limiti stabiliti dalle normative comunitarie
  • Nelle calzature sono stati riscontrati livelli molto elevati di ftalati e il rilascio di nichel, al di sopra dei requisiti REACH dell’UE
  • In 2 indumenti per bambine la quantità di formaldeide riscontrata supera il valore soglia identificato dal REACH

Nel 32% dei campioni analizzati la concentrazione di sostanze si attestavano a livelli preoccupanti. Questo dato si traduce in un serio rischio sanitario per i lavoratori che manipolano sostanze e indumenti, oltre che per i consumatori.

La presenza di sostanze chimiche pericolose nei processi di lavorazione e nei corsi d’acqua internazionali situati in Asia orientale, Sud-est asiatico e America centrale, è stata denunciata dalla campagna Detox di Greenpeace, in cui ha rivelato l’uso diffuso di nonilfenoli, ftalati e PFAS (composti perfluoroalchilici). Inoltre, è opportuno sottolineare come queste sostanze non restino cristallizzate nelle zone di produzione, ma attraverso le acque, l’aria, la dispersione di capi non correttamente smaltiti, riescano a raggiungere zone impensabili come le vette delle montagne, il polo nord, i nostri mari etc.

Alla luce della grave situazione climatica che stiamo vivendo, sarebbe opportuno promuovere un processo di sensibilizzazione che renda i consumatori, anche i più giovani, maggiormente consapevoli di ciò che acquistano e delle conseguenze che ogni indumento, a basso costo e dalla breve durata, comporta.  Oltre a un incremento dei controlli da parte dei governi, di norme internazionali più ferree capaci di tutelare ambiente, lavoratori e consumatori del fast fashion.

il 10% delle emissioni globali di gas serra siano emesse dal comparto dell’abbigliamento, il quale è responsabile anche dell’inquinamento delle acque di tutto il mondo.