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FOCUS
Benessere e sviluppo sostenibile secondo il Dasgupta Rewiev
 

Come riconsiderare il ruolo della natura nell’economia

 
 
 

Il 2 Febbraio 2021 è stato pubblicato l’atteso report indipendente “The Economics of Biodiversity” o “The Dasgupta Rewiev” commissionato dal ministero del Tesoro Britannico al ...

 
 

 

martedì 9 marzo 2021

 

 

Il 2 Febbraio 2021 è stato pubblicato l’atteso report indipendenteThe Economics of Biodiversity” o “The Dasgupta Rewiev” commissionato dal ministero del Tesoro Britannico al Professor Partha Dasgupta dell’Università di Cambridge. L’obiettivo del report è quello di fornire un nuovo framework economico, radicato nell’ecologia e nelle scienze naturali, in grado di perseguire obiettivi di sviluppo sostenibile e identificare le possibili azioni umane per favorire la biodiversità e la prosperità.

Il report parte dal presupposto che la natura debba essere vista come un asset, così come lo è il capitale umano (salute, conoscenza) e quello produttivo (strade, edifici, aziende). La natura però, come la salute e l’educazione, è molto più di un bene economico. Essa ha infatti un impatto molto più ampio sul nostro benessere, derivato anche solo dall’esistenza della stessa. Tale asset non ha quindi solo un valore d’uso, ma anche un valore intrinseco molto importante. Una volta interiorizzata questa concezione la biodiversità può essere studiata come parte di un portafoglio di investimenti il cui valore si vuole massimizzare.

Come è possibile vedere la biodiversità in quest’ottica?

La biodiversità consente alla natura di operare le proprie funzioni aumentandone la produttività, la resilienza e l’adattabilità. Il report in questo senso fornisce un parallelismo utile a spiegare la biodiversità ai finanzieri di Wall Street. Come la diversificazione in un portafoglio di titoli finanziari riduce il rischio e l’incertezza, anche la diversità del portfolio di capitale naturale ha un simile effetto. In particolare, aumenta la resilienza e riduce i possibili rischi connessi alla fornitura di servizi ecosistemici.

Sotto questo punto di vista, noi tutti siamo una sorta di asset manager. Singoli individui, aziende, governi e organizzazioni internazionali gestiscono i propri asset attraverso le proprie decisioni di spesa e di investimento. Tuttavia, a livello aggregato, questo portfolio di asset non è stato gestito in maniera sostenibile. Secondo le stime del Report, tra il 1992 e il 2014 a livello globale il capitale produttivo pro capite è raddoppiato mentre il capitale umano pro capite è cresciuto del 13%. Lo stesso non è però accaduto per quello naturale, che è invece diminuito del 40 % pro capite. Stiamo vivendo un periodo di prosperità e di standard di vita mai sperimentanti in precedenza ma ad un costo molto elevato. Il tasso di sfruttamento delle risorse naturali è stato più alto che mai negli ultimi decenni. Per mantenere inalterato il nostro standard di vita, infatti, consumiamo 1.6 pianeti all’anno.

Cosa vuol dire questo? Si stava meglio quando si stava peggio?

No. Secondo il report stiamo paradossalmente vivendo sia nel periodo migliore che in quello peggiore. Mentre infatti abbiamo a disposizione capitale produttivo e umano come mai prima d’ora, siamo anche in una situazione di sfruttamento estrema, e quindi penuria, di capitale naturale.

Per invertire questo trend è necessaria un’azione immediata, che sia in grado di permettere il raggiungimento di obiettivi sociali oltre che ambientali, di affrontare il problema del cambiamento climatico e della povertà.

“La soluzione inizia con la comprensione e l’accettazione di una semplice verità: le nostre economie sono incorporate nella Natura, non esterne ad essa” recita il report.

Per fare questo occorre adottare un approccio diverso al modo in cui si pensa e si misura il successo. Una trasformazione di questo tipo richiede sforzi significativi da parte di tutti gli attori e l’attivazione di sinergie strategiche. The Dasgupta Rewiev individua in modo particolare tre cambiamenti necessari da implementare per poter raggiungere l’obiettivo della transizione ad un paradigma sostenibile.

  1. Non sovrasfruttare la natura. Assicurarsi che la nostra domanda di beni naturali non ecceda la fornitura che la terra ci garantisce. Occorrerà ripensare ai meccanismi di consumo e produzione, accelerando comportamenti come quelli del riuso, del riciclo e della condivisione.
  2. Cambiare il modo in cui misuriamo il successo. L’indicatore usato per le scelte economiche a livello internazionale è quello del PIL, prodotto interno lordo. Esso misura il valore aggregato in prezzi di mercato di tutti i beni e i servizi prodotti in un certo territorio in un certo orizzonte temporale. Tale misura non tiene conto del benessere delle persone o del deprezzamento degli asset, quindi della degradazione del capitale naturale. Adottare tale misura come indicatore di successo di un paese, quindi, non fa altro che incoraggiarci a intraprendere un percorso di crescita insostenibile. Un indicatore più preciso dovrebbe essere in grado di misurare il benessere in maniera più inclusiva e comprensiva.
  3. Cambiare le istituzioni ed il sistema, in particolar modo il sistema finanziario e quello educativo, in modo che questi cambiamenti siano implementati e trasferiti alle nuove generazioni. Il sistema finanziario ha il potenziale di indirizzare gli investimenti, pubblici e privati, verso attività con un impatto positivo sull’ambiente e di incoraggiare un consumo e una produzione sostenibili. In tale contesto, governi, banche centrali, istituzioni finanziare private e pubbliche, hanno un ruolo importante da giocare.

Tuttavia, il cambiamento necessario non è attivabile solo a livello istituzionale. La spinta verso uno sviluppo sostenibile deve venire, in ultima istanza, anche dai singoli individui.

La soluzione inizia con la comprensione e l’accettazione di una semplice verità: le nostre economie sono incorporate nella Natura, non esterne ad essa