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SOCIETÀ
Liberarsi dalla plastica? No, dai suoi rifiuti
 

Plastica e sviluppo sostenibile, un connubio che non esiste

 
 
 

È il 1862 quando l’Inglese Alexander Parkes brevetta il primo materiale plastico della storia. Un anno che segna l’avvio dell’inarrestabile corsa della plastica come protagonista ...

 
 

 

mercoledì 14 ottobre 2020

 

 

È il 1862 quando l’Inglese Alexander Parkes brevetta il primo materiale plastico della storia. Un anno che segna l’avvio dell’inarrestabile corsa della plastica come protagonista dei consumi di massa, della rivoluzione industriale e anche come icona pop nell’epoca della produzione di serie. La sua affermazione ha cambiato il nostro modo di vivere e le nostre abitudini oltre a consentire lo sviluppo della società moderna. La sua incessante produzione, aumentata in modo vertiginoso negli ultimi 30 anni e destinata a raddoppiare nei prossimi due decenni, e soprattutto la gestione del suo fine vita, ha portato però l’ambiente e i mari prima di tutto a essere invasi dai suoi rifiuti, con conseguenze drammatiche sulla biodiversità del pianeta e sull’economia dei territori. 5 bilioni di buste ogni anno. 25 milioni di tonnellate di rifiuti ogni mese. Più di 1 milione di bottiglie ogni giorno. Alcuni studi stimano che negli oceani ci siano fino a 150 tonnellate di plastica e che, se l’andamento della produzione proseguirà ai ritmi attuali, entro il 2050, il peso della plastica sarà maggiore di quello dei pesci! I numeri impietosi illustrano l’impatto della plastica sull’ecosistema ed evidenziano l’impronta antropica, gli studiosi sono concordi su questo, data al nostro ambiente. L’emergenza dell’inquinamento da plastica ha catturato quindi l’attenzione pubblica come nessun altro problema ambientale nella storia recente.

Pensare però a un mondo senza plastica, almeno nel prossimo futuro, è praticamente inverosimile. E questo perchè alcuni analisti ritengono che sia ormai troppo diffusa nelle nostre vite, ma anche perché semplicemente, non conviene. Un recente studio della Trucost per l’American Chemistry Council ha evidenziato che la plastica aiuta a ridurre i costi ambientali di ben quattro volte rispetto alle sue ipotetiche alternative, dove per costo ambientale si intende il costo in termini economici relativo al cambiamento climatico, al danno agli oceani e alla salute dell’ecosistema. Per il solo settore del packaging a esempio si stima che il costo ambientale con la plastica sia di 139 miliardi di dollari, con le alternative di 533 miliardi.

Studi di merito evidenziano che il problema è quindi un altro: la gestione del suo fine vita. Mentre infatti il suo utilizzo è aumentato in maniera esponenziale, le infrastrutture deputate al recupero e riutilizzo dei suoi rifiuti non sono state sviluppate. La questione è molto rilevante in quasi tutti i paesi e anche in quelli più all’avanguardia in questo settore, la sua produzione supera di gran lunga la capacità di smaltimento. Parliamo di un settore in cui l’Europa ha tracciato la strada con proposte e direttive e nel quale può porsi come volano per il cambiamento. A patto però che l’affermazione di un approccio più olistico, che tenga nella giusta considerazione l’intero ciclo di vita della plastica, e un’economia circolare finalmente a regime, siano centrali nella definizione strategica delle politiche istituzionali.

L’Unione europea in quest’ambito può fare da traino perché come accade anche su altre tematiche ambientali, è la realtà più avanzata al mondo sia sul tema della corretta gestione degli scarti, sia in quella della messa al bando dei rifiuti plastici, quelli mono-uso impiegano dai 500 ai 1000 anni per decomporsi, più dannosi per gli ecosistemi e l’ambiente.

Un mondo Plastic Free non è ipotizzabile. Uno Plastic Waste Free si!!!