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CULTURA
L’arte ai tempi della pandemia
 

Come il COVID-19 ha modificato la fruizione del patrimonio culturale statale italiano

 
 
 

“La cultura è l’unico bene che, quando viene distribuito, aumenta di valore”. La bella definizione del filosofo tedesco Gadamer riesce forse a sintetizzare, meglio di ...

 
 

 

mercoledì 14 ottobre 2020

 

 

“La cultura è l’unico bene che, quando viene distribuito, aumenta di valore”. La bella definizione del filosofo tedesco Gadamer riesce forse a sintetizzare, meglio di tante parole, lo stato attuale del patrimonio culturale del nostro Paese.

La diffusione del COVID – 19, il distanziamento sociale e le misure di prevenzione sanitaria richieste, hanno arrestato la tendenza al rialzo dei mesi precedenti e innescato una spirale recessiva nell’ambito della cultura: nei soli mesi di marzo, aprile e maggio 2020, il numero di mancati ingressi è stato pari a 19 milioni con una perdita di incassi di 78 milioni di euro. Per capire la gravità della situazione bisogna considerare il medesimo trimestre dello scorso anno che poteva invece vantare 17 milioni di visitatori e introiti per 69 milioni di euro.

Fino a inizio pandemia, e dal 2010, i musei statali hanno visto l’incremento della platea dei visitatori (+1,7 milioni) annuale, con un aumento del 46%. Il dato era molto confortante e attestava, non era così scontato, un crescente interesse dei cittadini verso il nostro patrimonio storico-culturale. I dati dell’ISTAT erano positivi dal punto di vista economico-finanziario poiché registravano un aumento degli introiti lordi previsti rispetto al 2019, del 12,8%, per oltre 273 milioni di euro.

“Io sono cultura” di Symbola evidenzia quanto il settore, da sempre trainante per l’intera economia (nel 2018 ha prodotto 95,8 miliardi di euro, pari al 6,1% del PIL nazionale) a causa della pandemia, sia in una fase di contrazione in termini di accessibilità e fruizione dei luoghi d’arte. Le analisi dell’ISTAT, basate sui dati forniti dal Ministero della Cultura, e focalizzate sui musei statali italiani, ci consentono di comprendere lo stato dell’arte e l’inversione di tendenza che ha minato la stabilità del sistema.

Il contesto impone, è la convinzione degli esperti del settore, l’adozione di strategie organizzative e manageriali capaci di imprimere una svolta nella pianificazione e nella valorizzazione dell’offerta ma anche nella fruizione della stessa. A partire da diverse modalità di accesso alle strutture, in senso qualitativo e quantitativo, e da un modello gestionale che punti a fare del nostro patrimonio storico-artistico, non solo la cifra della nostra identità, ma il volano di uno sviluppo finalmente sostenibile.

Un cambio di passo che, come già avvenuto in molti altri paesi, dovrà percorrere le tre direttive del digitale, della sostenibilità ambientale e dell’efficienza energetica delle strutture e degli ambienti in modo da fare della “crisi” l’innesco di un valore aggiunto anche per il futuro. Per quanto riguarda il primo aspetto, la tecnologia a sostegno della fruizione digitale, l’appello #iorestoacasa, la cultura non si ferma, ha spinto molte istituzioni statali a promuovere iniziative atte a facilitare l’accesso online al patrimonio culturale. Molte città hanno infatti messo a disposizione tour virtuali, collezioni online e iniziative social per coinvolgere il pubblico, anche se a distanza.

L’offerta digitale ha avuto un’ottima risposta in termini di richiesta di accesso da parte dell’utenza anche se ha evidenziato il digital divide che ancora caratterizza molte parti del territorio italiano. Il processo di digitalizzazione del patrimonio culturale presenta, infatti, molti margini di miglioramento.

L’ISTAT dimostra che nel 2018:

  • solo l’11,5% dei musei ha effettuato la catalogazione digitale del proprio patrimonio;
  • solo il 20,8% di questi ha completato il processo;
  • il 43,4% ha riversato in digitale solo la metà delle opere esposte;
  • il 35,8% ha digitalizzato meno della metà delle proprie collezioni.

Il post-pandemia dell’offerta culturale deve, inoltre, essere caratterizzato da un nuovo approccio che faccia dei luoghi della cultura dei veri “agenti sociali vitali” in grado di traghettare, finalmente, il sistema culturale verso nuovi orizzonti. La sostenibilità e l’efficienza energetica delle strutture, in questa prospettiva, saranno strategiche. Recenti indagini dimostrano come il complesso dei musei nazionali paga ogni anno una bolletta energetica di 250 milioni di euro, con consumi in aumento del 50% rispetto agli anni 80. A gravare maggiormente sul fabbisogno di energia degli oltre 5 mila luoghi della cultura italiani sono soprattutto illuminazione, climatizzazione, sicurezza e ICT, servizi essenziali.

Nell’ottica del Rinascimento Globale auspicato dal Ministro Dario Franceschini, il protocollo d’intesa MiBACT-ENEA vuole promuovere un maggiore utilizzo della tecnologia sia per la conservazione sia per la valorizzazione del patrimonio storico-culturale attraverso:

  • check-up energetici;
  • diagnostica e restauro laser; 
  • protezione antisismica;
  • utilizzo di lampade a LED;
  • impiego di smart lighting.

Sono previsti risparmi del 30% per la climatizzazione e del 40% per l’illuminazione dei musei.

La possibilità di efficientare queste strutture è garantita anche dal Conto Termico gestito dal GSE. Parliamo di un contributo a fondo perduto che può essere richiesto da musei e aree archeologiche ma anche da archivi, biblioteche e teatri. Il meccanismo copre parte dei costi di progettazione degli interventi ed è pari al 40% delle spese ammissibili. Fino al 55% nel caso di particolari combinazioni di interventi.

Il nostro Paese può vantare un patrimonio culturale unico al mondo. Facciamo allora della cultura il motore del nostro sviluppo sostenibile di domani.

Un nuovo approccio che faccia dei luoghi della cultura dei veri “agenti sociali vitali” in grado di traghettare il sistema culturale verso nuovi orizzonti