Orlandi
 

< back

INTERVISTA
Romeo Orlandi, Presidente Osservatorio Asia
 

Secondo l’economista la Cina, nella sua corsa allo sviluppo, ha bisogno di energia ma non riesce a liberarsi dalla dipendenza del carbone

 
 
 

Standard & Poor’s ha calcolato che se il coronavirus attuale dovesse proseguire il suo corso il Pil cinese potrebbe registrare una contrazione dell’1,2% su base ...

 
 

 

mercoledì 21 ottobre 2020

 

 

Standard & Poor’s ha calcolato che se il coronavirus attuale dovesse proseguire il suo corso il Pil cinese potrebbe registrare una contrazione dell’1,2% su base annua. Che impatti potrebbero esserci per la Cina e il resto del mondo?

Le previsioni più recenti segnalano prospettive migliori per la Cina. Il Pil nel 2020 dovrebbe aumentare del 2,3%. La Cina, insieme all’Indonesia e a Taiwan, rileva una delle poche crescite al mondo, nonostante l’influenza del Covid – 19. Siamo molto lontani dalla crescita a 2 cifre e anche da quella più contenuta degli ultimi anni, intorno al 6 – 7%. Rimangono tuttavia indiscusse le capacità di reazione e di resistenza della Cina. Ciò vale non soltanto per il Paese ma per la funzione di locomotiva dell’economia mondiale che la Cina ha assunto e che tende a mantenere.

La percezione della crisi economica nel continente asiatico è la medesima che in Europa. Se si’, quali azioni concrete sono state avviate in campo energetico?

La percezione non cambia tra l’Asia e l’Europa, varia invece la modalità di intervento. In Asia – nonostante lì sia cominciata la diffusione del virus – si sono messi in campo degli strumenti, basandosi sul controllo e sulla disciplina della popolazione, che ne hanno certamente limitato l’impatto. In campo energetico non sono state applicate misure dirompenti, ma sono continuate quelle finalizzate a una maggiore protezione dell’ambiente.

Le fonti rinnovabili e un futuro carbon neutrality in Asia. Sono temi strategici anche in questa parte del globo?

Le fonti rinnovabili e la carbon neutrality sono temi strategici anche in Asia. Però, soprattutto la Cina che nella sua potenza produttiva ha bisogno di energia, non riesce a liberarsi dalla preponderanza del carbone. Forse non vuole iniziare una riconversione radicale dei suoi approvvigionamenti. Probabilmente avrà bisogno di gradualità. Le forze che si ancorano al carbone sono le stesse, di carattere conservatore e ancora potenti, all’interno della società.

Relativamente alla sostenibilità ambientale c’è qualche Paese particolarmente virtuoso?

In Asia, alcune economie hanno inserito la sostenibilità ambientale al centro della loro crescita. Con risultati variabili, ma sempre positivi, Singapore, Corea del Sud, Taiwan stanno registrando progressi notevoli. Comunque in tutto l’estremo Oriente si sta riaffermando la tradizione secondo la quale la natura va assecondata e non deturpata. Dopo anni di industrializzazione incontrollata, ora assistiamo a un ripensamento delle logiche “sviluppiste”.

Ritiene che i rapporti e le collaborazioni strategiche in campo energetico fra l’Europa, l’Italia in particolar modo, e i Paesi dell’Asia subiranno delle evoluzioni nel post – crisi?

Non credo a prossime collaborazioni strategiche tra l’Europa, l’Italia in particolare, e l’Asia Orientale nel periodo post – Covid. Esisteranno invece opportunità specifiche di fare affari, soprattutto se il miglioramento dei rapporti politici lo renderà possibile.