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INTERVISTA
Nicola Conenna, Presidente di Green Hydrogen Project – Energy Communities Network
 

L'idrogeno è il nuovo oro del XXI secolo

 
 
 

Professore, quando nasce il suo interesse per l’idrogeno? Nell’estate del 1980 al CERN di Ginevra quando, come summer student di fisica, mi occupavo di questioni ...

 
 

 

venerdì 11 novembre 2022

 

 

Professore, quando nasce il suo interesse per l’idrogeno?

Nell’estate del 1980 al CERN di Ginevra quando, come summer student di fisica, mi occupavo di questioni energetiche. In quel periodo, ho avuto modo di frequentare una delle biblioteche all’epoca più fornite del mondo, che mi ha dato l’opportunità di portare avanti una serie di studi in totale autonomia sul mondo dell’idrogeno. Devo dire, in tutta sincerità, che già quell’anno avevo già capito molto di quello che c’era da capire sull’idrogeno, e sulle sue vaste potenzialità come vettore energetico.

Il coinvolgimento della comunità scientifica verso l’idrogeno è cresciuto negli anni, di pari passo con la consapevolezza circa il fatto che la transizione energetica non è più rinviabile. Perché l’idrogeno verde non si è ancora affermato a livello globale?

Guardi, la transizione ecologica, come tutti sanno, non è più rinviabile, poiché le questioni climatiche e quelle economiche sono sempre più pressanti. È evidente che dobbiamo reagire a questa situazione nell’arco di qualche anno, se vogliamo evitare l’irreparabile. Purtroppo però non lo stiamo facendo concretamente, e questo ci porta a pensare che la questione diventi molto seria. A breve si aprirà la COP 27 e, a oggi, non c’è la minima traccia che venga fatto qualcosa di adeguato in materia di emissioni climalteranti e di idrogeno, e questo, di per sé, è una tragedia. Il recente Rapporto delle Nazioni Unite sulla mitigazione dei cambiamenti climatici parla chiaramente di un tempo di non più di tre anni a disposizione per non compromettere ulteriormente la situazione climatica a livello globale. L’idrogeno, a tal proposito, potrebbe divenire un vettore strategico, perché non possiamo limitarci a pensare di risolvere il problema solo abbassando le emissioni di CO2; dobbiamo invece tagliare le emissioni climalteranti in maniera drastica, e cioè sostituire le fonti fossili, appunto, con l’idrogeno e le rinnovabili. Queste ultime però, almeno le più diffuse come il fotovoltaico e l’eolico, hanno carattere discontinuo e noi abbiamo bisogno di un gas che, non solo possa sostituire quello fossile che noi utilizziamo attualmente, ma che possa essere utilizzato da subito in alcuni settori chiave, fra cui la siderurgia e altre industrie, dove le rinnovabili nell’immediato potrebbero fare poco. Questo è l’idrogeno. La comunità tecnico – scientifica internazionale se ne sta rendendo conto sempre di più, e anche a livello politico, europeo e mondiale, ci si rende conto che quella dell’idrogeno è la soluzione migliore, oltre che quella più credibile e adatta, fra quelle che si possono prospettare. Poi va detto che l’idrogeno ha alcune caratteristiche particolari che ne fanno un unicum: per esempio è l’elemento più diffuso nell’universo conosciuto. Noi dobbiamo utilizzarlo per andare verso un sistema energetico in cui l’energia provenga sostanzialmente dall’esterno del nostro Pianeta, come quella del Sole, in maniera che tale sistema possa ridimensionare problemi quali l’entropia, e che sia durevole nel tempo. Quindi un sistema legato all’energia solare come energia primaria, e all’idrogeno come vettore energetico secondario. Perché questo modello non si è ancora affermato? I motivi sono economici e sono legati ai forti contrasti con il sistema precedente, quello fossile, destinato comunque a lasciare il passo perché non sostenibile.

Di idrogeno si parla da decenni, è uno degli elementi più presenti in natura e le tecnologie necessarie alla sua produzione non mancano. A questo punto la crisi energetica, e quella geopolitica che l’ha causata, potrebbero rappresentare uno dei volani per la sua definitiva affermazione o i costi necessari alla sua produzione “verde” sono ancora troppo alti?   

Effettivamente la crisi energetica potrebbe rappresentare un risvolto, in senso positivo, della questione. Purtroppo però non è quello che sta accadendo, anzi stiamo avanzando verso il baratro con maggiore velocità di prima. I mass media e i politici parlano dell’aumento del prezzo del gas come se fosse una conseguenza recente del conflitto russo – ucraino. In realtà, il suo incremento è iniziato almeno 6 mesi prima dello scoppio della guerra, come effetto della speculazione internazionale. Il prezzo del gas come sappiamo, trascina con sé quello dell’energia elettrica, e questo, almeno in Italia, è normale. Quello che invece è poco comprensibile è l’aumento dei prezzi dei combustibili fossili e dei derivati del petrolio. Certo è che, comunque, se noi italiani puntassimo con più decisione sulle rinnovabili affiancandogli l’idrogeno, avremmo una grossa opportunità: ovvero quella di non dover dipendere più dall’importazione di gas dall’estero, nel giro di pochi anni. Per quanto riguarda invece i costi, le tecnologie legate all’idrogeno sono ormai tutte esistenti, ma i prezzi sono alti; questo è vero, ma è altrettanto vero, e molto probabile, che scenderanno di un 20% all’anno; quindi gli analisti stimano che, nel giro di quattro o cinque anni, essi raggiungeranno un livello molto interessante sul mercato. Che poi è quanto è già successo con le rinnovabili che, nel giro di un decennio, hanno ridotto drasticamente i loro costi fino a iniziare a diventare competitive rispetto alle fonti fossili. La stessa cosa sta accadendo e accadrà in un vicino futuro per l’idrogeno. Quindi se noi italiani, che potremmo usufruire in abbondanza di fonti rinnovabili (fotovoltaico e eolico in primis), puntassimo con decisione sulla produzione delle tecnologie per l’idrogeno e sull’idrogeno stesso come vettore energetico, avremo più di un’opportunità per superare l’attuale crisi energetica. Ma la realtà è che questo non sta avvenendo. È vero anche che iniziano a comparire dei fondi PNRR e i primi bandi comunitari, ma finora non si è fatto nulla di concreto. Aspettiamo ora le prossime mosse del nuovo Esecutivo su questo tema.

Lei ha da poco pubblicato “Idrogeno, il nuovo oro”. Una parte del suo testo è dedicata alla mobilità a idrogeno e ai modelli introdotti sul mercato a livello internazionale. A che punto siamo su questo fronte?

In questo settore si sono mossi gli asiatici per primi, e lo hanno fatto in maniera importante, mettendo sul mercato i loro modelli a idrogeno. Hanno fatto sul serio, con operazioni che sono diventate rapidamente da pre – commerciali a commerciali. Si sono distinti anche in merito alla politica dei prezzi che sono oggi, non proprio accessibili, ma equiparabili a quelli di un’auto di grossa taglia. Parliamo, tra l’altro di auto di alto ivello, che poi sono magnifiche. L’elemento che però sembra frenare maggiormente la diffusione delle auto a idrogeno, nel mondo, è la mancanza delle infrastrutture per la ricarica che, a oggi, sono presenti solo in Germania, dove ci sono circa 90 distributori, in Europa centrale, e in Giappone dove ve ne sono una settantina. Il dato vero però che merita una più ampia riflessione, è che la produzione di auto a idrogeno viaggia su un numero di circa 50.000 unità all’anno, a fronte dei miliardi di autoveicoli in circolazione, quindi una percentuale piccola del mercato automobilistico. Alla luce di questo dato ne deriva che una produzione di massa non è così semplice e non sarà immediata. Noi, come dicevo prima, abbiamo la necessità di un’azione, anche in questo settore, che sia spalmata sull’arco di anni e non di decenni, per il semplice fatto che tutto questo tempo non lo abbiamo più: ovvero ci troveremo con un aumento della CO2 in atmosfera e un incremento della temperatura media dalla quale difficilmente si potrà tornare indietro. È abbastanza inspiegabile come non ci si renda ancora conto della gravità della situazione. Comunque il mondo dei trasporti vale fra il 30 e il 40% dell’energia mondiale e, secondo me, una soluzione potrebbe essere quella di usare l’idrogeno nei motori tradizionali a combustione, poiché sarebbe la soluzione per una transizione abbordabile, con costi relativi, e meno complessa dal punto di vista organizzativo. È chiaro infatti che la sostituzione complessiva del parco auto a livello mondiale sarebbe, in tempi brevi, pressoché impossibile, mentre una soluzione graduale, attraverso l’uso di idrogeno nei motori tradizionali, sarebbe più praticabile. Toyota, a esempio, ha già dei modelli che utilizzano questo sistema, come la Yaris e la Corolla: autovetture che hanno, tra l’altro, dimostrato la loro validità, anche in termini di prestazioni, in ambito sportivo.

Ci spiega come questo vettore energetico è destinato a cambiare il futuro del Pianeta?

È completamente privo di carbonio e porta con sé un’economia circolare simile a quella naturale. Ci riporterebbe da un mondo non sostenibile, creato da noi stessi in circa 200 anni, a un sistema simile a quello naturale, destinato a durare a lungo.

Se noi italiani puntassimo con decisione sull’idrogeno come vettore, avremo più di un’opportunità per superare l’attuale crisi energetica