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INTERVISTA
Michele Santovito, Presidente AssoEge, l’associazione degli esperti in gestione dell’energia
 

Necessaria una indipendenza energetica in chiave sostenibile

 
 
 

Presidente, cosa ci insegnano i recenti avvenimenti bellici in Ucraina e le pesanti ricadute sui prezzi e sull’approvvigionamento delle forniture del gas metano, già riscontrabili ...

 
 

 

mercoledì 27 aprile 2022

 

 

Presidente, cosa ci insegnano i recenti avvenimenti bellici in Ucraina e le pesanti ricadute sui prezzi e sull’approvvigionamento delle forniture del gas metano, già riscontrabili sui mercati energetici?

La gestione dell’energia è una materia estremamente complessa, ancora di più se si allarga il perimetro alle forniture e alla produzione a più alto livello, che come abbiamo visto impattano in maniera molto pesante sull’ambiente, ma che possono portare a gravi difficoltà di approvvigionamento e, indirettamente, ad un aumento spropositato dei prezzi. A differenza di ipotesi e analisi del passato, ora ci troviamo a dover constatare che le previsioni fatte trovano una reale e drammatica conferma. Il primo problema è legato ai tempi di reazione che inevitabilmente non saranno sufficientemente rapidi da poter gestire la crisi innescata dall’invasione russa. A cascata emerge la scarsa capacità di guardare al futuro dei nostri decisori politici i quali, in tutti questi anni (almeno venti) non sono riusciti a costruire un’alternativa che garantisse una valida indipendenza energetica a basso impatto ambientale. Inevitabilmente, ora la priorità è limitare i danni cercando alternative al “fornitore Russia”, per quanto sarebbe poco saggio non guardare al futuro con azioni in grado di garantire maggiore stabilità e un basso impatto su clima e ambiente. Di certo, al nostro paese non mancano le competenze tecniche, per cui non rimane che sperare in un cambio di passo della politica nostrana.

Qual è la sua opinione sulla questione energetica a livello nazionale? Saranno sufficienti gli stanziamenti previsti dal PNRR per consolidare il percorso sostenibile del Paese?

Senza andare troppo indietro nel tempo e guardando l’evoluzione della legislazione, della normativa tecnica, dello sviluppo tecnologico e dei modelli di business degli ultimi 10 anni si può dire che in Italia sul tema energetico, il livello di sensibilità è decisamente alto. Come esperti in gestione dell’energia dal 2009, anno in cui è nata la nostra figura professionale, e dal 2012 con la nascita di AssoEge, abbiamo accompagnato questa crescita operando su più fronti, in qualità di stakeholder rispondendo a tutte le sollecitazioni delle istituzioni ma ancora di più lavorando quotidianamente a stretto contatto con i consumatori finali di energia (nei settori civile, terziario ed industriale) o all’interno delle società fornitrici di servizi energetici, ovvero le ESCO. L’esperienza acquisita fino ad oggi ci permette dire che l’Italia è pronta per affrontare le prossime sfide sicuramente dal punto di vista dell’offerta dei servizi, delle tecnologie e dell’attenzione degli utenti finali. Qualche dubbio rimane sulla capacità di affrontare la sfida da un punto di vista di strategia e quindi politico, soprattutto perché la complessità delle azioni da portare avanti è elevata e gli interessi in gioco sono molto forti. Facendo riferimento ai numeri del PNRR per la transizione ambientale ed energetica che sono stati condivisi, per quanto non si conosca ancora la quota finale e quali iniziative verranno privilegiate realmente, questi potranno essere considerati sufficienti solo se andranno a finanziare investimenti con ritorno positivo sia verso l’ambiente che per il sistema paese. I fondi del PNRR hanno fatto innalzare il livello di interesse di molti soggetti che operano nel settore energetico, non a caso in molti hanno iniziato a fare pressioni presentando ognuno la propria ricetta come la migliore per raggiungere gli obiettivi dei prossimi anni. Come AssoEge, operando da tecnici esperti in materia e non avendo interessi specifici diretti, ci auguriamo che la linea strategica, in capo ai decisori politici, venga definita passando da criteri oggettivi scelti attraverso un percorso di massima trasparenza e condivisione con tutti i portatori di interesse.

Per quanto riguarda il contesto globale invece a che punto siamo? Cosa pensa degli impegni presi al G20 e alla COP 26?

Per quanto riguarda la COP 26 non possiamo ritenerci soddisfatti delle decisioni prese. Ancora troppe le differenze soprattutto tra i paesi che determinano il maggior impatto ambientale. Se il tema energetico ed ambientale è complesso da gestire all’interno di una singola nazione con grandi interessi in gioco che non permettono una strategia univoca, passando ad una dimensione mondiale tutto ciò si amplifica all’ennesima potenza. Negli ultimi anni la sensibilità verso la crisi climatica è aumentata con un coinvolgimento sempre più grande di soggetti, soprattutto ragazzi, che protestano perché i decisori politici intervengano in maniera più efficace; questa sensibilità è aumentata anche perché gli eventi catastrofici dovuti al cambio del clima stanno mostrando tutta la loro forza. Il primo grande risultato che abbiamo potuto osservare è che, a parte qualche irriducibile, sembra sia oramai assodato che la causa dell’innalzamento delle temperature alla base dei cambiamenti climatici sia prevalentemente di origini antropiche e come tale solo l’uomo può agire per limitare se non invertirne gli effetti. Personalmente ritengo che la mancanza di capacità nel prendere impegni in maniera collegiale da parte dei leader mondiali, non porterà a risultati utili in un periodo di tempo sufficientemente rapido da evitare eventi sempre più frequenti e devastanti e che obbligheranno le singole nazioni coinvolte di volta in volta ad intervenire per limitarne i danni.

Le posizioni di Cina e India, con l’impegno alla decarbonizzazione spostato al 2070 rischiano di compromettere il contenimento della temperatura a 1,5 gradi al 2030. Qual è la sua opinione in merito?

Cina e India, ma anche altri paesi come la Russia, i paesi arabi e fino a poco tempo fa gli USA, portano avanti una linea che risponde agli interessi economici interni senza guardare agli effetti che tali azioni stanno provocando sul pianeta. Sembra impossibile da immaginare ma è ciò che sta succedendo e per quanto ognuno possa addurre a giustificazioni più o meno verosimili, il risultato finale è un procrastinare scelte e decisioni che prima o poi dovranno essere prese. Vista la riluttanza di questi paesi nel voler prendersi degli impegni vincolanti per il bene del pianeta, diventerà fondamentale lavorare per cambiare il modello di business di molte aziende che in passato hanno delocalizzato le proprie produzioni industriali, grazie a scelte sempre più consapevoli da parte dei consumatori ma anche incentivato da politiche che favoriscano il rispetto dell’ambiente.

Recentemente il Premio Nobel per la Fisica, Giorgio Parisi si è detto scettico sulle prospettive future della transizione ecologica. È della stessa opinione?

Non posso che confermare lo scetticismo espresso dal Premio Nobel Parisi anche se le ragioni potrebbero essere differenti. Per quel che mi riguarda i dubbi sono legati, come indicato in precedenza, alla elevata complessità del tema che si sta affrontando soprattutto se visto su scala mondiale. In secondo luogo gli interessi in gioco sono troppo grandi da portare ad una soluzione che accontenti tutti, per quanto gli effetti finali sul pianeta non risparmierebbe nessuno. Considerato tutto e visto che le decisioni comunque si ripercuoteranno su tutti noi, sarebbe importante garantire la piena trasparenza sui motivi di tali scelte, dando massima enfasi sulle prese di posizione dei singoli Stati.

E sulla ipotesi, confermata anche dal Ministro Cingolani, di continuare la ricerca sul nucleare cosa ne pensa?

Il tema nucleare in Italia, e non solo, rappresenta un tema che divide. Personalmente ritengo che il nucleare per come lo conosciamo oggi non sia una soluzione percorribile ed anche guardando alle prossime generazioni, qualche dubbio permane. Per quanto l’energia nucleare abbia un impatto minimo in termini di emissioni di CO2, lo stesso non può valere se pensiamo al fine vita del combustibile nucleare le cui scorie radioattive non sono e non saranno trascurabili in termini di ricadute ambientali e di rischi sulla salute dell’uomo. Inoltre i tempi e gli investimenti richiesti, a valle di un percorso adeguato di ricerca, sono rispettivamente troppo lunghi e troppo elevati per pensare a qualcosa di risolutivo nel breve e medio periodo. Credo che come per tutta la ricerca, anche quella sul nucleare non debba fermarsi ribadendo però che l’orizzonte temporale di questa tecnologia è incompatibile con gli attuali bisogni. Le soluzioni ci sono già, ma vanno usate in maniera integrata ed organica e con modelli che garantiscano un controllo dell’impatto ambientale più equilibrato a livello planetario. Inoltre dovrebbe esserci un impegno, se non proprio un obbligo affinché si garantisca la piena trasparenza delle scelte fatte, diversamente da quanto visto finora (compresi i risultati della COP26) dove prevale la tendenza a coprire l’incapacità nel raggiungere risultati utili con il “blablablah” lamentato dalle nuove generazioni, lamento che pare non sia stato gradito dal Ministro Cingolani. Mi rendo conto che si tratta di un messaggio al limite dell’utopia, ma tale rimarrà fino a quando la natura con i suoi segnali sempre più convincenti ci spingerà a correre ai ripari, nella speranza che tutto ciò non avverrà prima che sia troppo tardi.