Livio De Santoli
 

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INTERVISTA
Livio de Santoli, Presidente Coordinamento FREE
 

Cambiare il modello energetico significa cambiare la società

 
 
 

Professore, come vede il futuro energetico del Paese, all’uscita dalla crisi? Promettente ma complicato. Stiamo vivendo un momento cruciale della nostra storia recente, e non ...

 
 

 

venerdì 23 aprile 2021

 

 

Professore, come vede il futuro energetico del Paese, all’uscita dalla crisi?

Promettente ma complicato. Stiamo vivendo un momento cruciale della nostra storia recente, e non so se, al di là di proclami e di ovvie condivisioni di facciata, è stato compreso fino in fondo il grande impegno che dovremo affrontare nei prossimi dieci anni. Leggendo le ultime bozze del PNRR sono rimasto colpito dalla scarsa presenza di valutazioni riguardanti i risultati attesi in termini di sostenibilità. In particolare mi sarei aspettato un’approfondita analisi dell’impatto, monitorato nel tempo, in termini di innovazione a favore della nostra industria e di nuove occupazioni per le nostre prossime generazioni in riferimento agli obiettivi dell’ONU. Credo con convinzione che l’occasione straordinaria offertaci dai finanziamenti europei debba essere declinata in politiche che abbiano effetti non marginali sulla coesione sociale e sulla riduzione delle disuguaglianze, cosi come d’altra parte impone la nostra Legge di Bilancio già da qualche anno.

Il Next Generation Eu riuscirà a dare un forte impulso?

Sono sicuro di si. Ma attenzione, c’è una condizione al contorno irrinunciabile per affrontare in modo corretto questa transizione ecologica. Occorre impostare una “visione” complessiva in grado di orientare la destinazione dei fondi per il rilancio dell’economia, per uno sviluppo industriale e per un concreto cambio di rotta nel settore ambientale, sociale, territoriale, senza approcci “ragionieristici”, ma gettando il cuore oltre l’ostacolo. Come ha detto recentemente il Coordinamento FREE, l’azione politica “meno incentivi, più infrastrutture” deve essere tradotta in investimenti organici e coerenti con gli obiettivi definiti in sede europea. A esempio, l’economia circolare, vero motore del processo di decarbonizzazione, deve riguardare l’intera filiera di un prodotto o di un servizio, coinvolgendo a monte i fornitori di materie prime e di componenti, utilizzando in tutte le fasi produttive l’ecodesign, trasformazione decisiva per minimizzare la creazione di rifiuti e rivolgersi anche al comportamento del cittadino, utente indispensabile alla trasformazione. Insomma, una radicale modifica del modello culturale e industriale.

Nel suo ultimo libro “Energia per la gente” parla dell’energia come di un bene comune e non privato. L’energia, lei scrive, dà il senso e la misura della libertà dell’uomo. Parte da questa tesi la sua idea per cui l’energia è strettamente legata alla giustizia sociale e alla democrazia?

Lo stretto legame tra energia e libertà può essere spiegato in vari modi. Da un punto di vista termodinamico lo scambio di energia significa sviluppo e vita. Con uno scambio di energia utile si assiste a una evoluzione del sistema e con un aumento di energia inutile, l’entropia, si ha una involuzione. Dal punto di vista sociale questo scambio si chiama condivisione e partecipazione, necessità di un comportamento attivo in una comunità. Più si è predisposti a scambiare energia e interazioni più si alimenta la propria crescita e la propria libertà. Nessun uomo è un’isola e il modello energetico questo lo spiega bene. La transizione che stiamo vivendo verso un modello energetico definito dalle fonti rinnovabili e dall’eliminazione delle fonti fossili può condurci verso una profonda modificazione della società, una società più giusta e più libera perché con questo modello non ha più senso parlare di proprietà. In una condizione di abbondanza, quale quella fondata sulle fonti rinnovabili, l’energia deve essere di tutti.

L’energia per tutti, il futuro per ognuno! E’ tutta una questione di sostenibilità?

Se pensiamo al climate change e all’urgenza di trovare soluzioni efficaci, l’unico metodo che abbiamo a disposizione è quello di abbandonare l’eredità del secolo scorso e affrontare in un modo unitario tutti gli aspetti con competenze integrate che devono contaminarsi pur rimanendo ognuna se stessa. In questi giorni è stato istituito presso La Sapienza il Comitato Tecnico Scientifico per la Sostenibilità, composto da 22 professori dalle più diverse aree tematiche (medica, ingegneristica, economica, ambientale, giuridica, informatica, delle politiche sociale, delle comunicazioni, sociologica, dell’architettura, psicologica, archeologica, geografica) con il compito di cercare con quali metodi e strumenti applicare questa integrazione. Con il coinvolgimento degli studenti, veri destinatari di questo impegno.

… e fa un’interessante parallelismo, sempre nel testo, con il Progressive Rock. Quali sono le analogie che segnano la storia dell’energia e della musica?

I musicisti a cavallo degli anni ‘70 godevano di una libertà assoluta che ha permesso una produzione musicale sconfinata di grande e inarrivabile qualità. Una libertà che ha permesso di interpretare il sofisticato rapporto tra musica e società. La musica descrive la società, è da questa prodotta, ed è segno dell’insoddisfazione del presente ma la modifica allo stesso tempo, ed è da essa prodotta soprattutto quando propone una prospettiva per il suo cambiamento. Proprio quello che stiamo vivendo oggi nel settore dell’energia. Lo dico molte volte nel libro, cambiare il modello energetico significa cambiare la società.

Professore lei vive l’ambiente universitario. Qual è la percezione della sostenibilità fra i suoi studenti?

Molto proattivo. Dall’anno scorso abbiamo messo in campo un Corso di Scienze della Sostenibilità che ha visto l’adesione di 1800 studenti, provenienti da tutte le diverse facoltà. Il loro impegno è un grande stimolo per tutti noi, perché stiamo parlando di un futuro che nelle condizioni attuali si presenta insostenibile.

Per questo motivo l’Università è chiamata a fornire un contributo innovativo in termini educativi (ne parlo in un capitolo del mio ultimo libro), di spinta per l’innovazione tecnologica e di pianificazione strategica necessaria per lo sviluppo del Paese. Che poi rappresentano le tre grandi missioni dell’Università: formazione, ricerca e terza missione.