J. Rifkin
 

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INTERVISTA
Jeremy Rifkin, economista
 

Idrogeno, rinnovabili e glocalizzazione. E' questo il futuro che ci aspetta

 
 
 

Professore, in un suo intervento ha previsto che la pandemia avrebbe causato la fine dell’era globale. L’ha definita “morta e sepolta”. E’ cosi? Certamente. Ci ...

 
 

 

lunedì 15 febbraio 2021

 

 

Professore, in un suo intervento ha previsto che la pandemia avrebbe causato la fine dell’era globale. L’ha definita “morta e sepolta”. E’ cosi?

Certamente. Ci sarà una rivalutazione della dimensione “glocal” in tutti i settori economico-produttivi, soprattutto in quello delle infrastrutture. Mi spiego meglio: la glocalizzazione renderà possibile una grande espansione dell’imprenditoria sociale con la proliferazione di piccole e medie imprese high-tech e smart, digitalmente registrate in una struttura blockchain di cooperative distribuite – a me piace chiamarle “laterali”- che opereranno sulle reti di ogni parte del mondo. In breve, la terza rivoluzione industriale porterà con sé la prospettiva di una democratizzazione della produzione e del commercio su una scala senza precedenti nella storia. In questa fase critica però occorre che i fili che costituiscono la trama del Green New Deal vengano intrecciati in un racconto economico e filosofico coerente che possa darci il senso della nostra identità collettiva come specie e portare l’umanità a una nuova visione del mondo, facendo battere il nostro cuore glocalmente. In assenza di questa nuova narrazione, tutte le idee rischiano di perdersi in un caos in cui niente si connette a nient’altro. Ogni idea diviene un’assurdità e un oggetto di contesa, privandoci della forza di cui abbiamo bisogno per il salto immaginario necessario per entrare nella prossima era della storia.

In ottica glocale, cosa pensa succederà in campo energetico? Che ne sarà delle relazioni in essere fra paesi produttori di energia e quelli dipendenti dalle forniture estere, anche in Italia?

Il mondo dell’energia tradizionale è al collasso economico. Le fonti fossili sono ormai diventate insostenibili non solo ecologicamente ma anche economicamente. Invece l’energia solare, quella eolica e altre energie rinnovabili sono diventate molto più convenienti, perché il sole e il vento sono gratis mentre il gas e il petrolio no. Secondo uno studio del novembre 2018 di Lazard, una delle maggiori banche d’investimento indipendenti del mondo, il LCOE (valutazione economica del costo medio-totale di costruzione e gestione di un asset per la produzione di energia per tutta la durata della sua vita diviso per la sua produzione totale di energia, per quella stessa durata, ndr), il costo livellato dell’energia per gli impianti solari su scala industriale è crollato a 36 dollari per megawattora, mentre quello degli impianti eolici è sceso a 29, rendendoli molto più economici delle centrali a gas, di quelle a carbone e dei reattori nucleari più efficienti. Si sta preparando un nuovo mondo nel quale i produttori di energia non saranno più solo i Paesi detentori dei pozzi di petrolio, ma tutti i Paesi con molto sole. Sul piano geopolitico questo significa l’emancipazione dell’Africa e di tutto il mondo in via di sviluppo, e per l’Italia vorrà dire accelerare la corsa verso la propria sovranità energetica ed economica, perché l’Italia è l’Arabia Saudita delle fonti rinnovabili. Pensiamo a cosa significhi questo in termini geopolitici per l’Europa rispetto a Russia, Paesi Arabi, e Stati Uniti. 

La crisi finanziaria avrà delle conseguenze anche sullo sviluppo del comparto energetico. L’insostenibilità del nostro modello di sviluppo, il probabile esaurimento del petrolio… Cosa pensa succederà a breve termine?

Chiariamo subito che la crisi finanziaria non riguarda tutti i Paesi e tutti i comparti nello stesso modo. Quello che sta entrando in crisi è il modello economico basato sulle energie fossili. I Paesi che sapranno affrancarsi rapidamente da esso non ne risentiranno, o ne risentiranno meno dei Paesi che non lo faranno, i quali rischiano di restare schiacciati sotto il crollo di questo modello energetico, divenuto ormai insostenibile, non solo sul piano ecologico ma anche su quello economico. Secondo la Carbon Tracker Initiative, un think tank al servizio dell’industria energetica con sede a Londra, il forte calo del prezzo di produzione dell’energia solare ed eolica porterà inevitabilmente a migliaia di miliardi di dollari di stranded asset in tutta l’industria privata e colpirà i petro-Stati che non saranno riusciti a reinventarsi, mettendo nello stesso tempo a rischio migliaia di miliardi di dollari degli investitori poco avveduti e ignari della velocità della transizione energetica in corso. Sono loro che risentiranno delle conseguenze della crisi dell’economia fossile, a differenza di coloro che hanno saggiamente deciso di diversificare i propri investimenti verso le energie rinnovabili. 

Quale sarà il futuro delle fonti rinnovabili? Gli investimenti green, e più in generale l’economia verde, potranno trarre slancio dalla crisi e dalla sempre più marcata richiesta di sostenibilità energetica?

Dietro le quinte è in corso una lotta fra titani: cinque dei principali settori responsabili del riscaldamento globale, tecnologie dell’informazione e della comunicazione, elettricità, mobilità, logistica e edilizia, stanno iniziando a sganciarsi dall’industria dei combustibili fossili a favore di nuove energie verdi più economiche. Il risultato è che nell’industria dei combustibili fossili circa 100.000 miliardi di dollari di asset potrebbero finire carbon-stranded. Sarà un bagno di sangue, per chi non ne uscirà in tempo. La bolla del carbonio è la più grande bolla economica della storia e farà sembrare quella dei subprime del 2008 una bazzecola. In tutto il mondo sta guadagnando rapida mente forza un movimento che preme perché si disinvesta dall’industria petrolifera e s’investa in energie rinnovabili. Il jolly è rappresentato dagli oltre 40.000 miliardi di dollari dei fondi pensione globali. In seno alla comunità finanziaria si sta facendo un gran discutere sull’alternativa fra continuare a sostenere l’industria dei combustibili fossili con migliaia di miliardi di dollari di investimenti o abbandonare la nave e investire nelle nuove energie verdi e nelle nuove opportunità economiche e occupazionali garantite dalla nuova infrastruttura green. In America è già cominciata la più grande campagna di disinvestimento/reinvestimento della storia del capitalismo. Molti investitori istituzionali, guidati da fondi pensione globali, hanno iniziato a liberarsi dei combustibili fossili e a investire in energie rinnovabili. Finora si calcola che nei soli Stati Uniti siano stati disinvestiti circa 8000 miliardi di dollari dai fossili per alle energie rinnovabili a zero emissioni di carbonio. 

E l’idrogeno, l’elisir energetico come lo ha più volte definito? Potrà affiancare se non “superare” le fonti rinnovabili nella corsa al post-petrolio?

Più che un elisir, si tratta dell’elemento più diffuso dell’universo in grado di dare continuità alle energie rinnovabili pulite ma discontinue. L’idrogeno non è in competizione con le fonti rinnovabili ma è in piena continuità e sinergia con loro e permetterà di massimizzarle facendo raggiungere all’Europa quegli obiettivi climatici ed energetici per i quali quindici anni fa vennero varati i vari sistemi di incentivi per le rinnovabili, come quelli creati dall’allora Ministro per l’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio in Italia, che hanno fatto partire tutto il settore della Green Economy nel vostro Paese. E non solo questo: l’idrogeno permetterà di dare una risposta anche al problema della transizione della mobilità stradale verso un modello a zero emissioni, eliminando progressivamente il petrolio dal settore dei trasporti. 

Cosa sarà centrale nel concetto di sviluppo del terzo millennio?

Nel nuovo concetto di sviluppo del terzo millennio, giocherà un ruolo importante anche il passaggio dalla globalizzazione alla glocalizzazione che trasformerà il rapporto fra governi nazionali e comunità locali, trasferendo in un certo senso la responsabilità del funzionamento dell’economia e il compito della governance dallo Stato alle regioni. Un cambiamento in materia di governance che preannuncia una rivoluzione nel modo in cui l’umanità organizzerà la propria vita economica e sociale. Lo Stato certamente continuerà a svolgerà una funzione chiave per stabilire e garantire le “regole del gioco” (nuovi codici, regolamenti, standard, incentivi fiscali e incentivi finanziari d’altro genere per la transizione a un’infrastruttura da terza rivoluzione industriale e a un’economia a zero emissioni). Ma anche città e regioni a loro volta avranno il compito di sviluppare propri precisi obiettivi e conseguire specifici risultati, elaborare piani per giungere a un Green New Deal, occuparsi dei cantieri e assumere iniziative per la transizione a un paradigma da terza rivoluzione industriale. La loro attività sarà quindi trasversale rispetto ai loro confini: creeranno una rete infrastrutturale federale integrata, composta dall’internet delle comunicazioni, l’internet dell’energia rinnovabile e l’internet della mobilità sopra la piattaforma internet delle cose, che abbraccerà l’intero parco immobiliare e ogni ambiente edificato. La nuova infrastruttura della terza rivoluzione industriale sarà accompagnata da nuovi modelli di business che implicheranno la connessione a piattaforme e lo sfruttamento delle nuove efficienze aggregate potenziali su tutte le loro catene del valore e filiere. Il trasferimento del potere politico da nazioni a regioni e da grandi multinazionali a PMI e aziende locali cambierà la natura della governance. Nell’era glocal anche lo sviluppo economico sarà sempre più distribuito fra località connesse fra loro dovunque nel mondo e il grido di battaglia di questa nuova era sarà sempre più «Power to the people»! 

Intervista raccolta da Angelo Consoli, Direttore dell’Ufficio Europeo di Jeremy Rifkin e Presidente del CETRI, Circolo Europeo per la Terza Rivoluzione Industriale

Jeremy Rifkin è autore di “UN GREEN NEW DEAL GLOBALE” – Edizioni Mondadori, 2019