INTERVISTA
Massimo Cacciari, filosofo
Serve una politica economica e industriale sostenibile per il futuro dei nostri Paesi
Come valuta le scelte politiche italiane in questa fase complessa per il Paese? È stata una gestione all’inseguimento dei “casi”, senza capacità di prevenire né ...
venerdì 4 dicembre 2020
Come valuta le scelte politiche italiane in questa fase complessa per il Paese?
È stata una gestione all’inseguimento dei “casi”, senza capacità di prevenire né di organizzare un sistema di risposta. Non sono novità – ci muoviamo da decenni in questo Paese sull’onda dell’emergenza – è un perenne “stato di eccezione”, cioè un non-Stato.
È arrivato il momento della transizione green del nostro sistema economico. Sarà questa la ricetta, post emergenza, per far fronte alla crisi?
È la chance, anche tecnologico-economica, per i nostri sistemi sociali e politici. Non possiamo aver futuro che sviluppando diversi sistemi energetici in vista di un’economia sostenibile, e anche per creare condizioni nuove di attività per le future generazioni. Qualsiasi altro “treno” è andato perduto, in questo Paese almeno. Eravamo all’avanguardia due generazioni fa nell’informatica, nella chimica secondaria e infine, nello sviluppo del nucleare, la più sciagurata politica industriale che un Paese democratico abbia conosciuto che ci ha condotto a dover sperare esclusivamente nella green economy.
È notoria la sua “avversione” per chi non vuole capire… Cosa si sentirebbe di dire a chi non comprende, oggi, la necessità di una maggiore sostenibilità in tutti i campi della nostra vita?
Ripeto che se non si punterà a una politica economica e industriale nel segno della sostenibilità, non ci sarà futuro per l’economia dei nostri Paesi. Si tratta di salvare noi, non Madre Terra, che se la caverà benissimo anche senza di noi.
Come giudica l’impatto che la crisi economica ha avuto sulla società nel suo complesso? E in particolar modo su quelle che un tempo erano le divisioni di classe?
L’impatto è duro, potrebbe essere devastante se il Governo non correggerà drasticamente le derive verso l’aumento intollerabile di disuguaglianze, economiche e di ogni genere, che la crisi produce, con manovre soprattutto fiscali di riequilibrio. Non si tratta delle tradizionali divisioni di classe, da tempo superate, ma dell’abisso che si va aprendo tra area sociale “protetta” e non, e tra generazioni presenti e future. Il gap che divide le politiche delle nostre democrazie dalla capacità pianificatoria di “democrazie autoritarie” si va allargando ogni giorno di più e finirà con l’inghiottire le prime, se continuiamo a rimandare, rinviare, e quando va bene a metterci una pezza. Una “strategia” di cui i nostri governi sono insuperabili maestri.