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INTERVISTA
Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile
 

Carbon tax per puntare alla neutralità climatica

 
 
 

Presidente, nel suo ultimo libro “Le sfide della transizione ecologica” ricorda che un Green New Deal insieme allo sviluppo massivo dell’Economia Circolare, e il rilancio ...

 
 

 

venerdì 11 marzo 2022

 

 

Presidente, nel suo ultimo libro “Le sfide della transizione ecologica” ricorda che un Green New Deal insieme allo sviluppo massivo dell’Economia Circolare, e il rilancio delle energie rinnovabili, siano necessari per correggere la rotta. A che punto è il nostro Paese alle prese con le risorse del Next Generation EU?

Per gli indicatori dell’economia circolare l’Italia resta in una buona posizione europea: per la produttività delle risorse (valore del pil per unità di consumo interno di materiali) siamo a 3,3 euro/kg a fronte di una media UE di 2 euro/kg, davanti alla Germania che è a 2,4 e alla Francia che è a 2,9. Per l’utilizzo circolare di materia (% dei materiali provenienti dal riciclo sul totale dei materiali consumati) siamo al 20% a fronte di una media UE del 12%, al pari della Francia che è al 20%, ma davanti alla Germania che è al 12%. Questi dati, gli ultimi disponibili, sono del 2019, ma siccome dipendono in buona parte dai tassi di riciclo e siccome questi tassi nel 2020 non sono peggiorati, è ragionevole ritenere che queste buone prestazioni dell’Italia siano state confermate nel 2020. Non è ancora possibile fare un bilancio degli effetti delle riforme e degli investimenti del PNRR per l’economia circolare, siamo all’inizio del percorso. Nel 2020 in Italia il consumo da fonti rinnovabili si è attestato a 21,5 Mtep, circa 0,4 Mtep in meno dell’anno precedente, anche se, a causa della forte contrazione dei consumi finali di energia (-13 Mtep), la quota del consumo finale ha raggiunto il 20% (era il 18,2% nel 2019). Nel 2020 le rinnovabili termiche si sono fermate a 10,1 Mtep, inferiori al valore del 2008 e le rinnovabili nei trasporti sono state 1,3 Mtep, lo stesso valore del 2019 e più basso di quello del 2012 Nel 2020 le rinnovabili elettriche   hanno coperto il 42% della produzione, grazie soprattutto alla contrazione della domanda elettrica del 5,3%. Sono  cresciute solo di 1 TWh (+1%) : buona la crescita dell’elettricità prodotta  dal fotovoltaico (+9,6%,), modesta quella dell’idroelettrico (+0,8%),mentre quella  dell’eolico ha registrato una decisa riduzione (-7,6%) .Il nuovo target europeo del 40% del consumo finale entro il 2030 per l’Italia significa un raddoppio complessivo delle rinnovabili nei prossimi 10 anni : con i trend attuali delle rinnovabili termiche, nei trasporti ed elettriche, l’Italia resta ben lontana dal passo necessario per raggiungere il nuovo target europeo. Nel 2020 l’Italia ha installato solo 800 MW di nuovi impianti per rinnovabili elettriche, un trend preoccupante se confrontato con i partner europei +6.600 MW in Germania, +4.300 MW in Spagna, +1.900 in Francia). Per raggiungere il target europeo al 2030 l’Italia dovrebbe aumentare i nuovi impianti almeno a 7.000 MW annui per i prossimi 10 anni. Per cambiare passo sarebbe utile una legge per la protezione del clima anche in Italia che aggiorni e renda legalmente vincolanti i target al 2030, che riveda e semplifichi ulteriormente le procedure per gli impianti di produzione, di accumulo e per le reti, che coinvolga in modo più attivo le Regioni e i Comuni, riduca gradualmente gli incentivi alle fonti fossili e introduca elementi di riforma fiscale per il clima e per le compensazioni sociali. Il recente forte aumento dei prezzi del gas naturale e del petrolio e la necessità di ridurre la dipendenza nazionale dal gas importato dalla Russia, in seguito all’invasione militare e alla guerra contro l’Ucraina, stanno alimentando un orientamento ad intensificare lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia: sono in elaborazione alcuni nuovi provvedimenti, ci aspettiamo una nuova e maggiore spinta per lo sviluppo più rapido di tali fonti di energia.

La quota di emissioni di CO2, analizzata in dettaglio nel testo, è tornata a crescere in Europa anche se, a confronto con i grandi emettitori, USA e Cina, le cose sembrano andare meglio. Il problema però è globale e non solo europeo. Cosa ci consentirà di remare tutti, e finalmente, dalla stessa parte?

L’Accordo di Parigi per il clima, a differenza dal Protocollo di Kyoto, si basa sugli impegni nazionali, quindi dà per acquisito il fatto che si proceda con differenti livelli di impegno, purché si proceda. Il successo della COP 26 sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà il numero dei Paesi che si presenterà avendo adottato programmi di misure per tagli consistenti di emissioni al 2030 e sulla rotta della neutralità climatica entro il 2050. La crisi climatica sta accelerando e producendo effetti pesanti. Non c’è tempo da perdere, siamo già in ritardo. Quello che possiamo fare va fatto, anche se non fosse risolutivo: certamente contribuisce a rallentare la crisi o comunque a non accelerala ulteriormente. Abbiamo, inoltre, le possibilità tecnologiche ed economiche per accelerare in un numero consistente di Paesi, un serio processo di decarbonizzazione senza costi eccessivi, con concrete possibilità di alimentare un Green deal, con opportunità di nuovo sviluppo e nuova occupazione. Per promuove queste opportunità e queste serie politiche di decarbonizzazione si stanno muovendo non solo di versi governi nazionale, ma governi locali, di città e regioni, molte imprese e anche un numero crescente di cittadini. Se questo processo avesse successo in Europa e negli Stati Uniti e negli altri Paesi che stanno seguendo questa stessa via, l’impatto globale, di trascinamento, sarebbe enorme, ben maggiore del peso delle nostre emissioni di gas serra. E i Paesi ritardatari che stanno frenando, a partire dal più importante e consistente per le enormi emissioni di gas serra, la Cina, saranno spinti ad inseguire. Non sarà facile, ma non vedo un altro percorso. Non possiamo demandare al governo cinese la decisione sulle politiche climatiche, attendendo che si muova in modo coerente con l’Accordo di Parigi e usare lo stallo cinese a sostegno del disimpegno dei Paesi democratici.  

Nelle pagine del suo libro viene citata molte volte la Carbon Tax. Cosi come la necessità di un nuovo sistema fiscale che renda disincentivante investire ancora sul carbone. Perchè ancora non si è fatta? O meglio perché riguarda solo i grandi impianti/emettitori di CO2? E il resto?

Mi rendo conto che dati gli attuali picchi dei prezzi dell’energia fossile, gas e petrolio, parlare di carbon tax possa sembrare fuori luogo: prezzi così alti in un certo senso fanno anche da carbon tax perché rendono molto più conveniente risparmiare energia e sviluppare le fonti rinnovabili. In ogni caso, strategicamente, al 2030 e al 2050, se puntiamo realmente alla neutralità climatica dobbiamo essere consapevoli che il prezzo delle emissioni di carbonio non può essere basso, perché queste emissioni generano danni ingenti e perché, se non internalizzano i costi effettivi, si genera un disincentivo per gli investimenti in efficienza energetica e nello sviluppo delle fonti rinnovabili di energia. L’aumento del prezzo del carbonio genera un aumento dei prezzi dell’energia di origine fossile, con ripercussioni sociali ed economiche rilevanti. Insieme a misure di carbon pricing servono quindi misure di compensazione sociale e di sostegno alla decarbonizzazione dei settori più critici e più esposti. In una prospettiva a breve di aumento e di estensione della carbon pricing è inoltre necessario difendersi dal dumping di Paesi come la Cina, grandi concorrenti e grandi esportatori, che hanno emissioni consistenti e potrebbero sostituire sui nostri mercati i nostri prodotti decarbonizzati, vanificando il nostro sforzo di taglio delle emissioni. Occorre quindi un meccanismo di aggiustamento fiscale sulle importazioni, così come proposto dalla Commissione europea. Ovviamente sui grandi impianti, grandi emettitori, è più facile introdurre misure europee comuni e questi impianti hanno anche maggiori capacità di introdurre innovazioni per decarbonizzare le loro produzioni. Ma condivido la proposta di estendere, con misure di compensazione sociale e con gradualità, queste misure di carbon pricing anche ai trasporti e ai consumi di combustibili fossili per usi termici.

Greta Thumberg, Fridays For Future, e più in generale le giovani generazioni. Anch’essi da lei citati più volte, saranno i protagonisti del nostro futuro. Saranno in grado di rimediare agli errori fatti nel passato (e nel presente)?

Come ha sancito una recente sentenza dell’Alta Corte, la corte costituzionale, tedesca le norme che non affrontano ora adeguatamente la crisi climatica sono incostituzionali perché scaricano un onere eccessivo sulle spalle delle future generazioni, condizionando gravemente la loro vita futura e la loro libertà. Non in un lontano futuro, ma al massimo entro una trentina di anni, i nostri figli e nipoti, se non cambiamo passo nelle misure di taglio delle emissioni di gas serra, vivranno un riscaldamento globale con impatti drammatici. Questo ci dicono ormai, in modo inequivocabile, autorevoli studi scientifici, a partire dagli ultimi Rapporti dell’IPCC.

In qualità di Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, Ex Ministro e grande esperto del settore, può darci una sua opinione sul Governo Draghi e sui passi che il suo Esecutivo ha intrapreso per la transizione ecologica del sistema Italia? 

Il governo Draghi è stato protagonista della fase finale di presentazione e di approvazione europea del Piano nazionale di ripresa e resilienza che, per decisione europea, ha come pilastro fondamentale la transizione ecologica, in particolare per i suoi aspetti climatici. Disponiamo quindi di una quantità di risorse finanziarie e di una spinta riformatrice per la transizione ecologica sconosciute in passato. Giusta la scelta di costituire un Ministero della transizione ecologica e la scelta, più volte ribadita, di seguire gli indirizzi europei nell’utilizzo delle risorse del PNRR. Fatte queste valutazioni positive sul Governo Draghi non mi pare possibile andare molto oltre: siamo all’inizio dei progetti di spesa del PNRR e, come osservavo, è presto per fare un bilancio. Meglio attendere i risultati. In linea generale, quindi non solo per le riforme e gli investimenti finanziati con le risorse del PNRR, anche l’Italia dovrebbe aumentare il suo impegno per le misure climatiche. Con la ripresa dell’economia nel 2021 le misure vigenti per l’efficienza energetica non sembrano in grado di frenare il forte aumento dei consumi di energia e la crescita delle rinnovabili è troppo lenta per far fronte alla ripresa della domanda di energia e anche ai prezzi molto alti del gas e del petrolio. Siamo quindi fortemente esposti sia ad un aumento di emissioni di gas serra sia al forte aumento dei prezzi del gas e dei derivati del petrolio. Ritengo che si possa fare molto di più per ridurre i consumi di energia fossile e per aumentare più rapidamente quella fornita dalle fonti rinnovabili.