DELIGUORI
 

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INTERVISTA
Beniamino de’ Liguori Carino, Segretario generale Fondazione Adriano Olivetti

La città industriale di Ivrea venne realizzata tra il 1930 e il 1960 da Adriano Olivetti, un esempio e un modello innovativo per quei tempi. Cosa significa oggi lo sviluppo sostenibile per Fondazione Adriano Olivetti?

Anzitutto mi permetto di aggiungere che, grazie a un progetto della Fondazione Adriano Olivetti, del MiBACT e del Comune di Ivrea in collaborazione con altri partner pubblici e privati, la città industriale di Ivrea è stata riconosciuta Patrimonio dell’umanità e iscritta nella lista Unesco. Mi sembra un’informazione che può aiutare a comprendere il valore simbolico dell’esperienza olivettiana all’interno del grande tema dello sviluppo sostenibile. Quello che l’Unesco ha riconosciuto attraverso le architetture è, infatti, il modello sociale, politico e culturale espresso dall’azione imprenditoriale di Adriano Olivetti, di cui gli edifici industriali sono oggi una testimonianza tangibile. Quel patrimonio, e più in generale la legacy di Adriano Olivetti, insegnano al nostro tempo la necessità di un nuovo patto tra cittadini, imprese e governi per compiere quel necessario grande sforzo globale che riequilibri il rapporto dell’uomo con gli spazi che abita, così da riconciliare i tempi di vita e di lavoro con quelli della natura. In questa direzione guarda la Commissione Europea con la proposta di “Green new deal”. Insomma, la crisi spaventosa che stiamo vivendo ci sta offrendo una grande opportunità: possiamo riorganizzare gli spazi, i tempi e le modalità del lavoro, rimettendo al centro del discorso pubblico le persone e l’ambiente. È un processo che implicherà innovazione sociale e tecnologica, coinvolgimento dei lavoratori e delle comunità. Se gli obiettivi dell’impresa, dei lavoratori, del terzo settore e delle istituzioni pubbliche convergeranno, crediamo si possa lavorare nella direzione dell’affermazione di quell’identità tra progresso materiale, efficienza tecnica, primato della cultura ed etica della responsabilità che è anche il caposaldo dell’esperienza olivettiana. 

La “fabbrica di beni” deve diventare “fabbrica di bene”. Servizi sociali, cultura, democrazia e bellezza. È un nuovo umanesimo industriale quello che deve caratterizzare la nuova Economia 4.0?

Non esistono altre vie perché la nostra società regga l’urto della storia. Attraversiamo una crisi profonda, la pandemia ha definitivamente messo a nudo le deformità strutturali dello sviluppo recente, le diseguaglianze anziché diminuire aumentano, l’emergenza climatica si è fatta evidente senza possibilità di essere smentita, e la tenuta stessa della democrazia sembra per certi versi essere a rischio. Le nostre classi dirigenti dovranno affrontare questo scenario. Occorre articolare un nuovo patto sociale, almeno all’interno dell’Unione Europea, che permetta davvero la nascita di un mondo nuovo costruito attorno a nuovi principi. La vicenda olivettiana testimonia che non si tratta di un’utopia ma di una concreta possibilità di lavoro. E in fondo le domande a cui Olivetti ha cercato di rispondere sono le stesse che il nostro tempo continua a porci: come fare a dare vita a una società materialmente progredita senza per questo essere interiormente imbarbarita, in cui rispetto, tolleranza e bellezza siano nomi e non voci prive di senso. In cui quella straordinaria capacità della nostra specie di creare, con il lavoro e con l’ingegno, ricchezza e innovazione sia impiegata per servire un principio che non ha tempo e non ha luogo: il rispetto della dignità della persona umana. 

Olivetti ha aperto una strada, quella della responsabilità sociale d’impresa, già un secolo fa. Quali sono i valori che vi hanno motivato allora, che oggi sono ancora assenti, e di cui si sente particolarmente bisogno in una società complessa come la nostra?

Se è consentito, a questa domanda farei rispondere direttamente ad Adriano Olivetti riportando un breve estratto da un suo scritto dove è chiarito il perimetro valoriale dell’azione olivettiana e, di conseguenza, quello della nostra Fondazione. Si tratta della descrizione che Olivetti fa del simbolo che aveva scelto per contraddistinguere le sue attività in campo sociale e politico (il Movimento Comunità) e culturale (le Edizioni di Comunità e la rivista Comunità): una campana che, dal 1962, è anche il simbolo della Fondazione Adriano Olivetti: “Ognuno può suonare senza timore e senza esitazione la nostra campana. Essa ha voce soltanto per un mondo libero, materialmente più fascinoso e spiritualmente più elevato. Suona soltanto per la parte migliore di noi stessi, vibra ogni qualvolta è in gioco il diritto contro la violenza, il debole contro il potente, l’intelligenza contro la forza, il coraggio contro la rassegnazione, la povertà contro l’egoismo, la saggezza e la sapienza contro la fretta e l’improvvisazione, la verità contro l’errore, l’amore contro l’indifferenza”.

Mi pare che i termini usati da Olivetti, il modo in cui questi sono messi in relazione, testimoniano in modo molto chiaro come la responsabilità sociale di impresa perché possa essere davvero tale, debba essere intesa in una dimensione complessa: deve abbracciare e concorrere a una riforma organica della società nella direzione della creazione di una comunità avanzata e progredita non solo dal punto di vista materiale e tecnologico ma anche dal punto di vista del riconoscimento dei diritti fondamentali dell’uomo.

L’evoluzione digitale e il continuo richiamo alla sostenibilità stanno cambiando il modo di fare impresa, in Italia e nel mondo. Ci sono oggi aziende particolarmente illuminate in grado di costruire quel modello di “industria socio - sostenibile” idealizzato da Adriano Olivetti?

Olivetti ha offerto, al suo tempo e ancora di più al nostro, un orizzonte tanto ideale nei suoi obiettivi quanto concreto nel definire una nuova cultura, non solo d’impresa. Negli ultimi decenni si è chiarito quanto in questa epoca spesso manchi una prospettiva unitaria e un fine ultimo condiviso, ovvero ciò che è stato il nucleo distintivo dell'azione olivettiana: la convinzione che la straordinaria capacità della nostra specie di saper creare ricchezza e innovazione debba essere impiegata per servire e raggiungere, attraverso i profitti, degli obiettivi che abbiano senso per tutta la comunità. In questo senso molte aziende, indipendentemente dal settore in cui operano e dalla loro dimensione, oggi raccolgono più o meno consapevolmente alcune parti del modello olivettiano, e Olivetti stesso, si può dire, incarna in pieno lo spirito della nostra epoca. Ecco perché, forse con un po’ di retorica, a questa domanda generalmente rispondo che non ha importanza chiedersi se c’è, o chi sia il nuovo Olivetti. Oggi è Olivetti chi crede che giustizia, accoglienza, responsabilità, progresso e innovazione siano a misura d’uomo. Queste sono questioni aperte, e dunque Olivetti oggi è chiunque lavori, con coerenza ed efficacia, per risolverle.

“Lezioni olivettiane” dimostra il vostro stretto legame con scuole e università e quindi con i giovani. Ritiene che proprio i giovani rappresentino la chiave di volta del cambiamento sociale ed economico all’insegna della sostenibilità? Chi se non i giovani potranno accogliere autenticamente questo cambiamento e, insieme, sostenerne lo sforzo?

I giovani e i giovanissimi colgono l’urgenza di porre rimedio ai temi di cui abbiamo parlato e dimostrano la volontà della militanza. Sono stati loro a portare nelle agende politiche la questione climatica e oggi si battono a gran voce. Visto che avranno a che fare con l'eredità lasciata da chi li ha preceduti, è necessario che entrino a far parte dei processi decisionali riguardanti la progettazione della società che verrà. E noi, con le Lezioni Olivettiane, proviamo a raccontargliene una possibile.

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L’esempio Olivetti allora, la responsabilità sociale oggi

 
 
 

La città industriale di Ivrea venne realizzata tra il 1930 e il 1960 da Adriano Olivetti, un esempio e un modello innovativo per quei tempi. ...

 
 

 

martedì 27 ottobre 2020

 

 

La città industriale di Ivrea venne realizzata tra il 1930 e il 1960 da Adriano Olivetti, un esempio e un modello innovativo per quei tempi. Cosa significa oggi lo sviluppo sostenibile per Fondazione Adriano Olivetti?

Anzitutto mi permetto di aggiungere che, grazie a un progetto della Fondazione Adriano Olivetti, del MiBACT e del Comune di Ivrea in collaborazione con altri partner pubblici e privati, la città industriale di Ivrea è stata riconosciuta Patrimonio dell’umanità e iscritta nella lista Unesco. Mi sembra un’informazione che può aiutare a comprendere il valore simbolico dell’esperienza olivettiana all’interno del grande tema dello sviluppo sostenibile. Quello che l’Unesco ha riconosciuto attraverso le architetture è, infatti, il modello sociale, politico e culturale espresso dall’azione imprenditoriale di Adriano Olivetti, di cui gli edifici industriali sono oggi una testimonianza tangibile. Quel patrimonio, e più in generale la legacy di Adriano Olivetti, insegnano al nostro tempo la necessità di un nuovo patto tra cittadini, imprese e governi per compiere quel necessario grande sforzo globale che riequilibri il rapporto dell’uomo con gli spazi che abita, così da riconciliare i tempi di vita e di lavoro con quelli della natura. In questa direzione guarda la Commissione Europea con la proposta di “Green new deal”. Insomma, la crisi spaventosa che stiamo vivendo ci sta offrendo una grande opportunità: possiamo riorganizzare gli spazi, i tempi e le modalità del lavoro, rimettendo al centro del discorso pubblico le persone e l’ambiente. È un processo che implicherà innovazione sociale e tecnologica, coinvolgimento dei lavoratori e delle comunità. Se gli obiettivi dell’impresa, dei lavoratori, del terzo settore e delle istituzioni pubbliche convergeranno, crediamo si possa lavorare nella direzione dell’affermazione di quell’identità tra progresso materiale, efficienza tecnica, primato della cultura ed etica della responsabilità che è anche il caposaldo dell’esperienza olivettiana. 

La “fabbrica di beni” deve diventare “fabbrica di bene”. Servizi sociali, cultura, democrazia e bellezza. È un nuovo umanesimo industriale quello che deve caratterizzare la nuova Economia 4.0?

Non esistono altre vie perché la nostra società regga l’urto della storia. Attraversiamo una crisi profonda, la pandemia ha definitivamente messo a nudo le deformità strutturali dello sviluppo recente, le diseguaglianze anziché diminuire aumentano, l’emergenza climatica si è fatta evidente senza possibilità di essere smentita, e la tenuta stessa della democrazia sembra per certi versi essere a rischio. Le nostre classi dirigenti dovranno affrontare questo scenario. Occorre articolare un nuovo patto sociale, almeno all’interno dell’Unione Europea, che permetta davvero la nascita di un mondo nuovo costruito attorno a nuovi principi. La vicenda olivettiana testimonia che non si tratta di un’utopia ma di una concreta possibilità di lavoro. E in fondo le domande a cui Olivetti ha cercato di rispondere sono le stesse che il nostro tempo continua a porci: come fare a dare vita a una società materialmente progredita senza per questo essere interiormente imbarbarita, in cui rispetto, tolleranza e bellezza siano nomi e non voci prive di senso. In cui quella straordinaria capacità della nostra specie di creare, con il lavoro e con l’ingegno, ricchezza e innovazione sia impiegata per servire un principio che non ha tempo e non ha luogo: il rispetto della dignità della persona umana. 

Olivetti ha aperto una strada, quella della responsabilità sociale d’impresa, già un secolo fa. Quali sono i valori che vi hanno motivato allora, che oggi sono ancora assenti, e di cui si sente particolarmente bisogno in una società complessa come la nostra?

Se è consentito, a questa domanda farei rispondere direttamente ad Adriano Olivetti riportando un breve estratto da un suo scritto dove è chiarito il perimetro valoriale dell’azione olivettiana e, di conseguenza, quello della nostra Fondazione. Si tratta della descrizione che Olivetti fa del simbolo che aveva scelto per contraddistinguere le sue attività in campo sociale e politico (il Movimento Comunità) e culturale (le Edizioni di Comunità e la rivista Comunità): una campana che, dal 1962, è anche il simbolo della Fondazione Adriano Olivetti: “Ognuno può suonare senza timore e senza esitazione la nostra campana. Essa ha voce soltanto per un mondo libero, materialmente più fascinoso e spiritualmente più elevato. Suona soltanto per la parte migliore di noi stessi, vibra ogni qualvolta è in gioco il diritto contro la violenza, il debole contro il potente, l’intelligenza contro la forza, il coraggio contro la rassegnazione, la povertà contro l’egoismo, la saggezza e la sapienza contro la fretta e l’improvvisazione, la verità contro l’errore, l’amore contro l’indifferenza”.

Mi pare che i termini usati da Olivetti, il modo in cui questi sono messi in relazione, testimoniano in modo molto chiaro come la responsabilità sociale di impresa perché possa essere davvero tale, debba essere intesa in una dimensione complessa: deve abbracciare e concorrere a una riforma organica della società nella direzione della creazione di una comunità avanzata e progredita non solo dal punto di vista materiale e tecnologico ma anche dal punto di vista del riconoscimento dei diritti fondamentali dell’uomo.

L’evoluzione digitale e il continuo richiamo alla sostenibilità stanno cambiando il modo di fare impresa, in Italia e nel mondo. Ci sono oggi aziende particolarmente illuminate in grado di costruire quel modello di “industria socio – sostenibile” idealizzato da Adriano Olivetti?

Olivetti ha offerto, al suo tempo e ancora di più al nostro, un orizzonte tanto ideale nei suoi obiettivi quanto concreto nel definire una nuova cultura, non solo d’impresa. Negli ultimi decenni si è chiarito quanto in questa epoca spesso manchi una prospettiva unitaria e un fine ultimo condiviso, ovvero ciò che è stato il nucleo distintivo dell’azione olivettiana: la convinzione che la straordinaria capacità della nostra specie di saper creare ricchezza e innovazione debba essere impiegata per servire e raggiungere, attraverso i profitti, degli obiettivi che abbiano senso per tutta la comunità. In questo senso molte aziende, indipendentemente dal settore in cui operano e dalla loro dimensione, oggi raccolgono più o meno consapevolmente alcune parti del modello olivettiano, e Olivetti stesso, si può dire, incarna in pieno lo spirito della nostra epoca. Ecco perché, forse con un po’ di retorica, a questa domanda generalmente rispondo che non ha importanza chiedersi se c’è, o chi sia il nuovo Olivetti. Oggi è Olivetti chi crede che giustizia, accoglienza, responsabilità, progresso e innovazione siano a misura d’uomo. Queste sono questioni aperte, e dunque Olivetti oggi è chiunque lavori, con coerenza ed efficacia, per risolverle.

“Lezioni olivettiane” dimostra il vostro stretto legame con scuole e università e quindi con i giovani. Ritiene che proprio i giovani rappresentino la chiave di volta del cambiamento sociale ed economico all’insegna della sostenibilità? Chi se non i giovani potranno accogliere autenticamente questo cambiamento e, insieme, sostenerne lo sforzo?

I giovani e i giovanissimi colgono l’urgenza di porre rimedio ai temi di cui abbiamo parlato e dimostrano la volontà della militanza. Sono stati loro a portare nelle agende politiche la questione climatica e oggi si battono a gran voce. Visto che avranno a che fare con l’eredità lasciata da chi li ha preceduti, è necessario che entrino a far parte dei processi decisionali riguardanti la progettazione della società che verrà. E noi, con le Lezioni Olivettiane, proviamo a raccontargliene una possibile.