
INTERVISTA
Aurelio Regina, Presidente del gruppo tecnico Energia di Confindustria
Confindustria e il cambio di passo del Paese, fra sostenibilità ambientale e transizione energetica
Confindustria partecipa alla European Clean Hydrogen Alliance. Ritiene che l’idrogeno, nel mix energetico europeo, possa essere in futuro il volano della definitiva transizione green? La ...
martedì 3 novembre 2020
Confindustria partecipa alla European Clean Hydrogen Alliance. Ritiene che l’idrogeno, nel mix energetico europeo, possa essere in futuro il volano della definitiva transizione green?
La nuova Strategia europea per l’idrogeno, “A hydrogen strategy for a climate-neutral Europe”, definisce un percorso comune europeo per incentivare l’uso dell’idrogeno, in considerazione degli obiettivi del Green Deal europeo e, a lungo termine, della decarbonizzazione al 2050. Confindustria ha sviluppato un Piano d’Azione per l’Idrogeno in Italia, in linea con la traiettoria prevista a livello comune: il vettore dovrebbe raggiungere il 13-14% del mix energetico europeo entro il 2050, partendo dall’attuale 2%. Si sta ora proseguendo nel lavoro con la collaborazione scientifica dell’ENEA nella mappatura tecnologica di produzione e utilizzo in Italia di tutte le opzioni disponibili: idrogeno clean (elettrolisi dell’acqua mediante energia rinnovabile o prodotto da bioenergie), idrogeno basato sull’elettricità (elettrolisi dell’acqua indipendentemente dalla fonte di energia elettrica), idrogeno low carbon (steam reforming del gas naturale con CCS), idrogeno da rifiuti (recycled carbon fuels) o idrogeno trasformato in combustibili sintetici derivati (e-gas e e-liquid). Sarà fondamentale abilitare lo sviluppo di un mercato liquido per il vettore, evitando, almeno nella fase di transizione, controproducenti preclusioni verso l’una o l’altra tecnologia, progredendo nella ricerca e sviluppo di nuove potenziali applicazioni. Non devono essere sottovalutate inoltre le interdipendenze nel settore energetico. La produzione di idrogeno da fonti rinnovabili elettriche contribuirebbe, a esempio, all’integrazione del sistema energetico e al bilanciamento della rete, affiancando le risorse di generazione tradizionali e accelerando la transizione, si conseguirebbe un’effettiva smart sector integration, anche valorizzando i futuri sviluppi di generazione rinnovabile in mare tramite le tecnologie per la conversione del moto ondoso, eolico fisso e galleggiante, oltre che il solare galleggiante per mare aperto. L’idrogeno è anche un mezzo di accumulo ad alta densità energetica e potrà svolgere anche un ruolo nello stoccaggio energetico di grandi dimensioni (possono essere immagazzinate migliaia di tonnellate di idrogeno per una capacità di accumulo di centinaia di GWh) e per lunghi periodi (fino agli accumuli stagionali) trasferendo in futuro l’eccesso di produzione da energie rinnovabili ad altri settori. Le Aziende italiane sono già oggi altamente competitive nella produzione di tecnologie per l’idrogeno e sono ben posizionate per beneficiare di uno sviluppo globale dell’idrogeno pulito come vettore energetico. Occorre garantire un percorso efficiente di sviluppo tecnologico, valorizzando le nostre caratteristiche specifiche di sistema Paese, e pertanto, valorizzando le soluzioni tecnologiche che sono più efficienti, in considerazione dei costi emergenti, della maturità tecnologica e delle correlate esternalità di sistema (positive e negative).
Recovery Fund, non sono poche le voci di chi intravede il rischio che, in Italia, i contributi non vengano sfruttati appieno. Ritiene ci sia questo rischio?
Il nostro Paese è noto per avere una bassa capacità di spesa dei fondi europei, quindi sarà decisiva la qualità delle scelte politiche e delle competenze tecniche del Governo. Il nostro Governo ora dovrà presentare i piani dettagliati per l’utilizzo di tutte le risorse previste, sia contributi che prestiti, in coerenza con gli obiettivi di innovazione digitale e sostenibilità ambientale, sanciti dall’Unione europea e con le specifiche raccomandazioni fatte dalla Commissione Ue al nostro Paese. La permanenza di un tessuto manifatturiero nel nostro Paese non potrà essere assicurata semplicemente dalla ricerca di una maggiore efficienza (stante il basso grado di intensità energetica già raggiunto in molti casi), ma richiederà l’introduzione di nuove tecnologie abilitanti oggi non disponibili sul mercato. Occorre sostenere questo processo di ricerca e applicazione di breakthrough technologies nei principali settori energivori finalizzato alla nuova progettazione delle diverse fasi dei processi produttivi tradizionali, alla re-ingegnerizzazione dei prodotti, alla massimizzazione dell’utilizzo di materiali di scarto, al ripensamento degli impianti produttivi, all’ibridazione delle macchine termiche (gas/idrogeno, gas/microonde, gas/fuel cell) per assicurare la riduzione delle impronte di carbonio. Confindustria ha presentato all’allora Ministro Patuanelli le misure concrete su cui orientare parte delle risorse del Recovery Fund basate su due linee di intervento, correlate ai due pilastri tecnologici su cui si basa la lotta ai cambiamenti climatici, ovvero le fonti rinnovabili e l’efficienza energetica. Lo stanziamento di 5-6 miliardi di euro facenti parte del Piano europeo per la ripresa dell’economia potrebbe essere funzionale all’avvio di una decarbonizzazione competitiva dell’industria italiana.
A fronte della contrazione del PIL nazionale di circa il 10%, che giudizio si sente di dare alla gestione della crisi nel nostro Paese? Intravede l’uscita dal tunnel?
L’Italia potrà uscire da questa crisi solo attraverso la definizione di un percorso chiaro, nel quale il sistema industriale porti una visione ampia sui temi della transizione energetica, con una strategia in grado di proporre misure concrete per garantire la competitività del nostro sistema produttivo, la sostenibilità ambientale, trasformando la sfida in una opportunità di crescita economica. Il momento è difficile, dobbiamo lavorare tutti insieme, essere coinvolti e condividere il progetto Paese: la vera sfida che ci attende sono le riforme strutturali. Dall’inizio degli anni novanta a oggi, dopo ogni crisi negli ultimi 30 anni, l’Italia si è adagiata su ritmi di crescita man mano più modesti ed è l’unica grande economia in Europa a mostrare parametri in costante diminuzione: tra 1991 e 2021 (stime della Commissione europea per il 2020-2021) il PIL italiano ha accumulato una distanza di 29 punti percentuali dalla Germania, 37 dalla Francia, 54 dalla Spagna. In termini di PIL pro-capite, con la crisi da COVID-19 l’Italia è tornata ai livelli di fine anni ottanta. Serve un cambio di paradigma rispetto agli ultimi decenni, per aumentare il potenziale di crescita dell’economia italiana. Occorre puntare su ricerca, digitalizzazione, formazione di capitale umano e sostenibilità ambientale.
Si è molto discusso sull’opportunità di modificare l’attuale obiettivo di riduzione delle emissioni al 2030 del 40% rispetto al 1990, portandolo a un più ambizioso 55%. Le nostre industrie saranno in grado di affrontare il cambio di passo richiesto in ambito europeo?
Gli obiettivi del Green Deal, l’innalzamento delle sfide ambientali della UE e la prospettiva di carbon neutrality al 2050 impongono una radicale ridefinizione di molti processi di produzione soprattutto per le imprese energy intensive. Confindustria con RSE (Ricerca Sistema Energetico) stanno analizzando gli impatti economici di un innalzamento ulteriore delle ambizioni climatiche, secondo la prospettiva del Green New Deal.
Il progetto si focalizzerà in particolare:
- sulla definizione degli effetti per l’Italia dei nuovi scenari delle politiche di decarbonizzazione europea, considerando quanto previsto nel Green New Deal al fine di procedere all’aggiornamento dello scenario nazionale al 2030 e stimare l’ammontare complessivo degli investimenti per la transizione energetica su base settoriale;
- sulla mappatura delle aree tecnologiche interessate e della filiera di valore per definire le capacità di risposta alla domanda di investimenti correlati alla decarbonizzazione dell’economia;
- sulla valutazione delle implicazioni economiche degli effetti indotti sulle filiere industriali, considerando i potenziali effetti sull’economia italiana e sul futuro sistema energetico sostenibile;
- sulla predisposizione di proposte di policy finalizzate a veicolare le risorse necessarie alla transizione energetica in Italia, così da rafforzare la filiera industriale di produzione delle tecnologie green, dalla componentistica agli impianti chiavi in mano. La crescita della capacità rinnovabile sul territorio nazionale prevista dal PNIEC deve tradursi in una crescita dell’intera filiera, dalla produzione di equipment fino ai servizi di installazione e gestione.
Possiamo parlare, per quanto riguarda l’Italia, di Energia 2.0? A che punto siamo?
In un contesto di obiettivi di decarbonizzazione sempre più ambiziosi, l’efficientamento energetico continua a conservare un enorme potenziale per stimolare la crescita economica ed evitare le emissioni di gas serra. Il sistema energetico nazionale deve essere preparato allo sviluppo e alla promozione dell’autoconsumo. Al momento in Italia esiste una galassia di possibili reti/configurazioni private nella regolazione italiana, frutto della normativa creatasi nel corso degli anni. Occorre una semplificazione dell’attuale quadro che regolamenta la generazione distribuita, prevedendo una definizione di autoconsumo dei differenti tipi di sistemi e la riduzione, dove possibile, degli adempimenti fiscali oggi previsti per gli impianti di piccole/medie dimensioni. In questo nuovo assetto è centrale il ruolo delle infrastrutture energetiche. Occorrono investimenti per sviluppare e gestire la rete in un’ottica smart grid.